Caricato di traverso sul cavallo
quell’ubriacone, ci incamminiamo verso la Villa. Il signor Roberto
ci dice di aver già consegnato le chiavi al gruppo che ci precedeva,
e infatti nel cortile trovammo un’auto parcheggiata e una serie di
personaggi poco rassicuranti: il prete esorcista, un certo don
Ettore, un robusto tuttofare di nome Giovanni Caspio, una ragazza
pallidissima, di nome Annamaria Legresti, e il dottor Luigi
Proserpini: insieme, con il consenso della Curia (!!!) stanno
studiando come comunicare con l’Aldilà, quasi non fosse
sufficiente leggere la Bibbia per sapere tutto.
Ad ogni buon conto, ci stringiamo la
mano e ci scambiamo i documenti d’incarico, quindi entriamo:
notiamo subito che la serratura è stata a suo tempo forzata e poi
richiusa, ma la polvere che troviamo all’interno mostra che da
molto tempo non entra più nessuno – nemmeno il signor Roberto,
pagato per aver cura della casa.
A dire il vero, non entriamo proprio
tutti: fratello Emilio resta fuori, presso il pozzo, a cantare
canzoni discutibili con voce ebbra e – speriamo – a rinfrescarsi
le idee.
Appena messo piede nella casa, sentiamo
una sensazione malvagia, come un brivido occulto, e suoni strani. Ma
fossero solo i suoni! Il giovane converso, lasciato per un momento
solo in una stanza, viene tramortito da un colpo e – quando si
riprende – sostiene che un vaso si sia messo a volare verso di lui.
A me, però, va peggio: esco per raggiungere Mauro, che sta
analizzando il pozzo (dal quale fratello Emilio si è allontanato
perché avrebbe sentito un richiamo dalla foresta) e, non appena mi
avvicino, vedo il tuttofare dell’esorcista puntarmi contro il
fucile, con aria spiritata. Non contento, mi spara! Ci vogliono gli
sforzi congiunti miei e degli Ospitalieri per disarmarlo: dopo un
paio di schiaffoni, ritorna in sé, come da una possessione.
Rientriamo tutti - fratello Emilio
tornato dai boschi incluso – nella sala d’ingresso, dove il
giovane converso viene curato dal dottor Proserpini. Improvvisamente,
noto un’ombra inquietante scivolare nella stanza attigua: visto che
restare soli è poco salutare, faccio cenno a fratello Emilio di
venirmi dietro e la inseguo, ma nella stanza non trovo nessuno: solo
uno scarno arredamento, una sedia occultata da una coperta ed una
vetrinetta che custodisce un pupazzo. Un pupazzo? Ovviamente, compare
quel pazzo di Fratello Emilio, che con i pupazzi ha un rapporto
speciale, rompe la vetrinetta al grido di “Fidatemi di me, so
quello che faccio” e si mette a rassicurare il pupazzo. Meno
rassicurante è don Ettore, il quale ricorda che la vetrinetta, un
oggetto prezioso, andrà pagata da qualcuno. E tutti sappiamo chi sia
qualcuno.
Non abbiamo ancora finito di
solidarizzare con pupazzo, quando si sente un gran puzzo provenire
dalla stanza di fianco, che si rivela essere la cucina, fornita di
un’ampia dispensa, dimenticata da anni. Il cibo, tuttavia, è
inscatolato e non sembra poter emanare un puzzo tale. Dispensa
“ampia”, ho detto, ma non così ampia come parrebbe da fuori:
quel colosso di fratello Guglielmo dà una spallata al muro, che
viene giù facilmente, rivelando uno scomparto segreto.
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