giovedì 6 giugno 2019

La casa delle nebbie


Caricato di traverso sul cavallo quell’ubriacone, ci incamminiamo verso la Villa. Il signor Roberto ci dice di aver già consegnato le chiavi al gruppo che ci precedeva, e infatti nel cortile trovammo un’auto parcheggiata e una serie di personaggi poco rassicuranti: il prete esorcista, un certo don Ettore, un robusto tuttofare di nome Giovanni Caspio, una ragazza pallidissima, di nome Annamaria Legresti, e il dottor Luigi Proserpini: insieme, con il consenso della Curia (!!!) stanno studiando come comunicare con l’Aldilà, quasi non fosse sufficiente leggere la Bibbia per sapere tutto.
Ad ogni buon conto, ci stringiamo la mano e ci scambiamo i documenti d’incarico, quindi entriamo: notiamo subito che la serratura è stata a suo tempo forzata e poi richiusa, ma la polvere che troviamo all’interno mostra che da molto tempo non entra più nessuno – nemmeno il signor Roberto, pagato per aver cura della casa.
A dire il vero, non entriamo proprio tutti: fratello Emilio resta fuori, presso il pozzo, a cantare canzoni discutibili con voce ebbra e – speriamo – a rinfrescarsi le idee.
Appena messo piede nella casa, sentiamo una sensazione malvagia, come un brivido occulto, e suoni strani. Ma fossero solo i suoni! Il giovane converso, lasciato per un momento solo in una stanza, viene tramortito da un colpo e – quando si riprende – sostiene che un vaso si sia messo a volare verso di lui. A me, però, va peggio: esco per raggiungere Mauro, che sta analizzando il pozzo (dal quale fratello Emilio si è allontanato perché avrebbe sentito un richiamo dalla foresta) e, non appena mi avvicino, vedo il tuttofare dell’esorcista puntarmi contro il fucile, con aria spiritata. Non contento, mi spara! Ci vogliono gli sforzi congiunti miei e degli Ospitalieri per disarmarlo: dopo un paio di schiaffoni, ritorna in sé, come da una possessione.
Rientriamo tutti - fratello Emilio tornato dai boschi incluso – nella sala d’ingresso, dove il giovane converso viene curato dal dottor Proserpini. Improvvisamente, noto un’ombra inquietante scivolare nella stanza attigua: visto che restare soli è poco salutare, faccio cenno a fratello Emilio di venirmi dietro e la inseguo, ma nella stanza non trovo nessuno: solo uno scarno arredamento, una sedia occultata da una coperta ed una vetrinetta che custodisce un pupazzo. Un pupazzo? Ovviamente, compare quel pazzo di Fratello Emilio, che con i pupazzi ha un rapporto speciale, rompe la vetrinetta al grido di “Fidatemi di me, so quello che faccio” e si mette a rassicurare il pupazzo. Meno rassicurante è don Ettore, il quale ricorda che la vetrinetta, un oggetto prezioso, andrà pagata da qualcuno. E tutti sappiamo chi sia qualcuno.
Non abbiamo ancora finito di solidarizzare con pupazzo, quando si sente un gran puzzo provenire dalla stanza di fianco, che si rivela essere la cucina, fornita di un’ampia dispensa, dimenticata da anni. Il cibo, tuttavia, è inscatolato e non sembra poter emanare un puzzo tale. Dispensa “ampia”, ho detto, ma non così ampia come parrebbe da fuori: quel colosso di fratello Guglielmo dà una spallata al muro, che viene giù facilmente, rivelando uno scomparto segreto.

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