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mercoledì 29 giugno 2022

Il paradiso può attendere

 

Come risvegliato da un lungo viaggio, cerco a fatica di aprire gli occhi accecato da una luce abbagliante. Quello che vedo non può essere descritto a parole, ma solo tramite un versetto, che ricordo aver studiato nelle scuole, scritto dal sommo poeta Dante:


“Ne la profonda e chiara sussistenza
de l'alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d'una contenenza;

e l'un da l'altro come iri da iri
parea reflesso, e 'l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.”


Abbasso lo sguardo e verso di me vedo tendersi una mano di uomo. Una voce mi invita ad alzarmi. “Ben arrivato Rocco, il mio nome è Adolf Stettermayer, ma puoi chiamarmi Kartoffen, non ti aspettavamo così presto! Vieni con noi Lui ti sta aspettando". Adolf è un bel uomo con chiari lineamenti ariani e il numero 7 tatuato sul petto. E’ accompagnato da Emilio, che dice di essere un soldato di origine italiana e un giapponese Hiroshi Goromaru. Tutti mi guardano con un sorriso e risplendono di luce propria.

Mi alzo e i tre mi accompagnano davanti a una tenda. Sento la voce di Adolf: «Entra Lui è lì».

Non so a chi si riferiscano, ma procedo senza farmi domande. Cosa vedo mi lascia senza parole. Un uomo è seduto su una specie di trono coperto da un velo trasparente con una gamba accavallata sul bracciolo. Assomiglia a me solo con qualche anno in più, un po’ di rughe in volto e alcune ciocche di capelli bianchi. Sdraiate al suo fianco su una grossa branda, due donne bellissime con le ali, totalmente nude, stanno dormendo con un sorriso compiaciuto e un foulart rosso, che lega i loro polsi alla testa del giaciglio.

Non lascio il tempo a quell’uomo di emettere verbo, con lacrime di gioia che mi solcano il viso esclamo: «Capitano Baracca!».

Si alza e viene verso di me. Nell’emozione sono in ginocchio senza fiato. Le sue parole mi riempiono il cuore: «Guglielmo, puoi chiamarmi papà! Sono orgoglioso di te, ora meriti tutto questo»

Mi appoggia una mano sulla spalla e si avvicina all’orecchio susurrandomi: «Ti dirò un segreto, gli angeli un sesso c’è l’hanno e qua di femmine ce ne sono molte. Benvenuto in Paradiso!»

martedì 14 giugno 2022

Il muro di Dio

 

La creatura si sta per avventare verso di noi, ma fratello Furio come muro ne ferma l’avanzare colpendola con forza inaudita con il suo expiator. Un arto del mostro viene staccato dal corpo e io e fratello Ludovico abbiamo la possibilità di dirigerci verso l’uscita. Dalla porta da cui è uscita la creatura un gruppo di morti avanza e fratello Gateano si butta contro loro, ma mentre cercava di attaccarli lo fanno cadere e si lanciano contro di lui.

Furio continua a tener testa alla creatura, Gaetano ormai è sotto a una montagnola di morti. Furio resiste a un colpo del mostro che fa trenare anche i muri, ma cade a terra vicino a noi. La bestia si avventa sul nostro baluardo, ma io con le ultime forze accendo l’expiator e lo colpisco, passando con la sega della mia arma, a pochi centimetri dal volto del mio compagno. Ho rischiato di fare a pezzi Furio, ma lui ha il tempo di riprendere la posizione di lotta e avanzare facendo a pezzi l’abomino. Fratello Vasco intanto aiuta Gaetano ad avere la meglio sui morti salvandolo da sicuro soffocamento.

Furio con la sua forza ci ha protetto erigendosi come muro di Dio sui suoi poveri inermi compagni.

La mia gamba e l’inguine di Ludovico continuano a sanguinare. Tenendoci le ferite ci avviciniamo all’uscita. Vediamo sul muro esterno della fabbrica una strana figura umana con ali e testa con grossi occhi da farfalla che ci osserva. L’essere ci fissa e dopo un po’ vola via. Fratello Ludovico sviene e solo l’intervento repentino di fratello Furio, che cuce la ferita sul momento, asportando un testicolo, da la possibilità al nostro compagno di salvarsi la vita fermando l’emorragia . Io me la cavo con una fasciatura stretta.

Gaetano sistema il camion e io e Ludovico ci mettiamo sopra a riposare, il nostro meccanico monta anche l’armamento della moto tedesca sul veicolo in maniera da armarlo per un eventuale scontro.

Furio e Vasco perquisiscono l’edificio. Nella sala dove c’era il tedesco trovano fogli che descrivevano di un fallimento del progetto falena, ma nulla di più. Entrando invece dalla porta laterale esterna, vista prima, accedono ad una cantina, in cui al suo interno veniva tenuto prigioniero un italo francese. L’uomo, che all’apparenza sembrava abbastanza tonto, ci rivela di far parte di un gruppo di banditi chiamati le cicale, che aveva attaccato il camion italiano su cui siamo ora, portandolo alla loro base con il templare che lo guidava. Per divertirsi, però aveva deciso di prendere il camion per farsi un giro ed era stato poi catturato lui stesso a sua volta dai tedeschi e portato li.

Ora abbiamo una pista per trovare fratello Simoncino.

Decidiamo di andare via da Lione e rifugiarci nella chiesa in cui avevamo passato la notte precedente per recuperare le forze.

martedì 24 maggio 2022

Granata!!! Ops!!!

 

Siamo all’ingresso della base tedesca. Abbiamo fatto un veloce controllo sull’esterno e abbiamo visto una piccola porta laterale chiusa dall’esterno e le gabbie aperte dei cani che ci avevano attaccato. Decidiamo di entrare dall’ingresso principale da cui fratello Ludovico era uscito tenuto in bocca da un cane a due teste. Ci troviamo un corridoio con due porte per lato e una frontale. Sono tutte chiuse e tolto dall’ultima a sinistra, da cui viene come un ticchettio di macchina da scrivere, non udiamo nulla. Decidiamo di aprirle in ordine per evitare eventuali agguati alle spalle. Spalanchiamo le prime porte, all’interno le stanze sono vuote con segni di sangue e colluttazione, ma nulla di più.

Apriamo quindi la porta di fronte a quella da cui proviene il ticchettio. Una scena raccapricciante si presenta ai nostri occhi. La stanza doveva essere un laboratorio chimico o di esperimenti. Il tetto è crollato, sicuramente era il luogo nel quale c’era stata l’esplosione e da cui proveniva il fumo, che avevamo visto. Dal soffitto brandelli di cadavere penzolano e un po’ ovunque sono sparsi. Gli arti ancora si muovono e capisco di non essere ancora pronto a tali scene di orrore.

Mentre tutti siamo colpiti dall’inferno che ci troviamo davanti agli occhi, un rumore di colpo su metallo proviene dalla porta frontale al corridoio e attira la nostra attenzione. Fratello Vasco e Ludovico decidono prima di aprire la porta da cui proviene il ticchettio. All’interno c’è un ufficiale tedesco dietro una scrivania con una macchina da scrivere. Si alza di colpo e inneggiando Hitler si spara alla tempia. I due fratelli si fiondano su lui per farlo a pezzi.

Il rumore di colpi sul metallo si fanno sempre più forti. Fratello Furio apre la porta frontale. Dietro c’è una porta metallica, una cella frigo. Qualcosa sta colpendola da dietro e i cardini stanno per cedere. Io sono scioccato da tutto cosa mi sta circondando. La paura prende il sopravvento e istintivamente lancio una granata contro la porta di metallo. Mentre lo faccio urlo granata, ma nessuno ha il tempo di ripararsi. La porta di ferro cade. Furio viene investito dalle schegge della granata senza subire danni e senza muoversi. La stessa sorte non possiamo dire di averla avuta io e fratello Ludovico. La mia gamba sanguina copiosamente mentre lui si tiene l’inguine e il suo mantello si tinge di rosso. Gaetano e Vasco hanno qualche graffio, ma non hanno il tempo di controllare. Dalla stanza con la porta metallica balza fuori un abominio. Una creatura umanoide che cammina a quattro zampe e attorno alle mani ha filo spinato e ringhia bramando le nostre carni.


venerdì 13 maggio 2022

Dio perdona, il fucile di Vasco No!

 


Raggiungiamo Lione, siamo incuriositi dalle luci ed esplosione udita nella notte. Il posto è molto surreale non si vedono persone ma solo case distrutte. Ci dirigiamo verso il centro città dove pensiamo provenissero. Iniziamo a sentire rumori di una fabbrica e muovendoci tra le macerie vediamo con sorpresa 2 soldati di guardia con divise tedesche a fianco di una moto con un grosso mitragliatore.

Propongo a Furio un piano, lui non sembra stia a sentirmi, ma lo ripete nello stesso modo. Io e fratello Ludovico ci avvicineremo muovendoci silenziosamente tra la boscaglia vicina. Fratello Ludovico dovrà sparare alla guardia di destra e io dovrò difenderlo in caso ci trovassimo in corpo a corpo con altri soldati. Fratello Vasco invece che sta con il resto del gruppo, visto le su abilità da cecchino dovrà mirare sul soldato di sinistra.

Sembra tutto perfetto, io e Ludovico ci appostiamo e diamo il segnale con i cicalini. Vasco spara e centra il cuore del primo tedesco, che cade a terra. Ludovico quindi si alza per sparare al secondo, ma si incanta… Rimane bloccato come in estasi. Lo incito a sparare, ma nulla. Il tedesco rimasto solo risponde verso di noi al fuoco vedendo Ludovico imbambolato e colpisce me ferendomi a una spalla. Insulto fratello Ludovico affinchè si sproni e prema quel grilletto. Finalmente si decide e colpisce il nemico.

Recuperiamo armi, lasciamo la moto e i cavalli. Scopriamo dalle divise, che i due tedeschi fanno parte di un gruppo speciale di ricerca scientifica militare. Avanziamo e troviamo un portone di rete metallica sorvegliato da due guardie. Esce un camion tedesco e in lontananza vediamo un camion italiano. Una piccola colonna di fumo si alza dallo stabile centrale che è segnato da un’esplosione. Probabilmente quella udita la notte scorsa.

Visto che di cecchini nel gruppo c’è ne solo uno, non ci fidiamo di ripetere il piano di prima. Lasciamo Vasco a coprirci le spalle e noi ci dirigiamo verso l’ingresso. Viene affidato a me con una granata il compito di far saltare guardie e portone. Neanche a chiederlo e siamo già dentro con altri due tedeschi fatti fuori. Scatta però l’allarme e un branco di pastori tedeschi arriva inferocito contro di noi. Io, fratello Gaetano e Furio ci dirigiamo verso il camion italiano, fratello Ludovico invece entra in una porta della palazzina centrale. Vasco con mira infallibile centra 2 cani e a noi basta fare a pezzi gli altri due mentre Gaetano mette in moto il camion. Scopro che forse l’expiator è troppo per uccidere un cane. Lo faccio a pezzi, ma colpisco con la sega una ruota posteriore, Gaetano capisce e impreca!

La situazione sembra risolta, ma la porta da cui era entrato fratello Ludovico viene sfondata dall’interno e balza fuori un grosso cane mastino a 2 teste. Rimaniamo un po’ scossi anche perché tra una delle mascelle del cane c’è Ludovico tenuto per il collo. Ludovico sembra essere ancora vivo, l’armatura lo stava proteggendo, anche se si vede che è mezza distrutta. Dobbiamo agire in fretta. Neanche il tempo di pensare e sentiamo sparare fratello Vasco e vediamo esplodere l’altra testa del cane. Ludovico viene lasciato dall’abominio e noi abbiamo il tempo di ucciderlo.

Vasco ancora una volta ti dobbiamo la vita. Nell’attesa che il nostro super cecchino ci raggiunga, prima di entrare nella palazzina, controlliamo sul camion e troviamo fucili italiani e un bazuka tedesco. Lasciamo li tutto e ci addentriamo nell’edificio.

domenica 8 maggio 2022

Templare bagnato, russare assicurato

 

Raggiungiamo quindi un paesino nella periferia di Lione. E’ sera e inizia a piovere a dirotto. Abbiamo bisogno di trovare un posto dove passare la notte e far riposare i cavalli. Poco distante da noi si vede una piccola chiesa. Decidiamo di avvicinarci e vicino all’ingresso, tutti tranne fratello Gaetano, nostro meccanico e esperto di veicoli, notiamo tracce di pneumatici. Sicuramente visto i segni e la pioggia scrosciante, i veicoli sono passati o hanno sostato da poco. Richiamiamo l’attenzione di Gaetano, dopo averli fissati per bene dice che sono segni di una carriola. Alla fine lo convinciamo che sta dicendo stupidaggini e lui si incaponisce dicendo che ora vuole analizzarli. Noi entriamo, intanto Gaetano rimane fuori sotto la pioggia a fissare la strada sterrata. Noi troviamo dentro il cadavere del prete che cerca di attaccarci, lo uccidiamo e intanto Gaetano rimane fuori sotto la pioggia a fissare la strada. Capiamo che ci sono state tracce di lotta e macchie di sangue, intanto Gaetano rimane fuori sotto la pioggia a fissare la strada. Sistemiamo i cavalli, accendiamo un fuoco e intanto Gaetano rimane fuori sotto la pioggia a fissare la strada sterrata. Lo vediamo rientrare fradicio, dice che sono pneumatici di camion. Aggiunge però che un tipo di pneumatico è sicuramente di un mezzo militare italiano visto il battistrada. Forse è passato proprio di qua fratello Simoncino ed ha sostato, siamo però molto preoccupati dai segni di colluttazione trovati, magari ha avuto un’imboscata.

Decidiamo di fare turni di guardia di due ore circa, appostandoci sul campanile. Inizia Gaetano, tanto è ancora umido, poi tocca a me, quindi fratello Ludovico e infine fratello Vasco. Per anzianità e ruolo lasciamo riposare fratello Furio. Tutti notiamo una luce elettrica, tipo riflettore alzarsi dal centro di Lione, molto strano in quanto la città dovrebbe essere deserta, ad un certo punto del turno di Gaetano si sente una forte esplosione provenire dalla zona della luce. La notte sembra passare tranquilla, ma proprio durante l’ultimo turno, Vasco vede uscire dalla boscaglia vicina una figura umana con un fucile. Ci avverte di svegliarci, il russare di Gaetano copre la voce del compagno. Vasco quindi intima dal campanile alla figura di fermarsi, quella avanza e Vasco è costretto a spararle. Un centro perfetto in pieno petto, ma l’uomo non rallenta. E’ sicuramente un morto, un morto che imbraccia un fucile. Lo sparo fa sobbalzare me e fratello Ludovico, Gaetano continua russare e tale suono appare più forte anche del colpo di fucile. Vasco scende di fretta dal campanile e ci avvisa del pericolo. Il morto sfonda la porta, ma anche se privi di armatura con Furio che dorme e con il russare di Gaetano che copre anche la colluttazione, abbiamo la meglio sul morto che viene fatto a pezzi. Di nuovo un ottimo lavoro di Vasco, che sempre più risulta determinante per il gruppo e ci ha salvato la vita.

Sta per sorgere il sole e svegliamo tutti per recitare le preghiere. Una dura giornata ci attende.

domenica 1 maggio 2022

L'orologio di Vion fa... U.S.A. Army

 


Arriviamo a Marsiglia. Il comandante dei templari della città ci accoglie e quando gli raccontiamo cosa è successo a Saint Crepain, ci elogia per il lavoro svolto e ci rifornisce armi e provviste per il viaggio. Dobbiamo dirigerci verso Parigi e la nostra prima tappa sarà Lione, da dove fratello Simoncino è passato.

Non indugiamo e partiamo alla volta delle terre perdute. Rinunciamo ad un comodo camion e preferiamo i cavalli per non dare nell’occhio in quei territori dove regna barbaria e morte. Raggiungiamo, senza troppi problemi Valence, l’ultima città liberata dal Sanctum Imperio. Da quel punto in poi potremmo contare solo su noi stessi. La città è principalmente abitata da cacciatori di morti e non abbiamo fortuna neanche con il parroco, nell’avere informazioni sul passaggio di fratello Simoncino.

Proseguiamo la nostra ricerca verso nord e ci imbattiamo nelle rovine di Vion. Fratello Vasco appare sempre di più intraprendente e a suo agio nelle sue terre e nota il cadavere in decomposizione di un soldato americano appeso alle lancette del campanile con il suo paracadute. Visto la decomposizione del corpo che ancora si muove a scatti, poteva essere li da anni. La curiosità ci porta a controllare e convinciamo anche fratello Furio, che era rimasto titubante.

Non sembrano essere presenti trappole o rischi di agguati. Il villaggio o meglio, ciò che ne resta, è disabitato. Il campanile parzialmente danneggiato e la scala per salire in cima inutilizzabile. Forse quello era il motivo per cui quel cadavere era ancora li appeso con l’equipaggiamento intatto. Vasco decide di arrampicarsi, provo ad aiutarlo, ma vedo che anche senza di me riesce a scalare 20 metri di campanile con agilità e tagliare le corde del paracadute che legano il morto.

Il corpo cade, applausi a Vasco. Dal morto recuperiamo un mitragliatore Thompson, 2 caricatori, 2 granate, 2 cicalini e una targhetta identificativa. Il cadavere continua a muoversi e si avventa su lui fratello Ludovico. Lo fa a pezzi, forse con una foga esagerata e vediamo che si gira dolorante verso di noi con un copri stinco danneggiato, lui dice per l’attacco di un braccio del morto, noi capiamo essere il colpo della sua mazza, che si è autorecato. Tratteniamo le risa.

Il bottino trovato è prezioso e con il morale alto continuiamo verso nord.

sabato 8 ottobre 2011

Beati i poveri in spirito, perchè di essi è il regno dei cieli


Implacabile e lento è il Signore nel colpire i malvagi, che mai possono dormire sicuri, certi che tosto o tardi il castigo divino li incenerirà; altrettanto implacabile, ma ben più rapido, è nel colpire i buoni che deviano dalla Sua strada, affinché prontamente vi tornino.
Grazie, Signore, per averci inviato il Tuo monito prima che troppo ci allontanassimo da Te.
Rimessi in cammino alla volta di S. Ezechiele, presto ci imbattemmo in una squadra di individui armati di tutto punto, dotati financo di un mezzo cingolato e di una jeep armata di pesante mitragliatrice: non era possibile sbagliarsi, si doveva trattare di una squadra di Cacciatori di Morti, di quelli veri ed efficienti, molto lontani da colui che avevamo accolto fra le nostre fila. Cacciatori, per intenderci, usi più a inseguire i cadaveri che non le vive.
Attirati dalla naturale solidarietà fra i vivi (cui la Grazia infonde umanità, se non vengono posseduti dal Demonio), e in second'ordine da un delizioso odore di caffè, ci avvicinammo. Subito ci si parò davanti un uomo di colore alto e robusto, dapprima minaccioso, ma presto disponibile, specie dopo l'arrivo del suo capo, un altro omaccione scuro, dall'accento americano: si trattava di King, e quella era la sua celeberrima banda di Cacciatori.
Dopo averci accolto fra loro, King ci spiegò che erano lì per ripulire, dietro lauta ricompensa papale, due paesi lì presso dai Morti. Due paesi che ci dividevano da S. Ezechiele, per cui fu presto trovata l'intesa: noi li avremmo aiutati nella loro opera, loro ci avrebbero garantito copertura. Io subito proposi di suggellare l'accordo e propiziarsi il Cielo per la battaglia attraverso una notte di raccoglimento e preghiera.
Ed ecco la Deviazione! Ecco che tutti si discostarono dal Retto Cammino! Sta scritto:
"Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini; perché vi metteranno in mano ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe”
Così, il mio Santo proposito fu oggetto di scherno, anzi gli scellerati arrivarono a minacciarmi con pistole, affinché non continuassi con le mie incitazioni, evidentemente perché sapevano che ciò sarebbe stato giusto e la coscienza rimordeva loro. Ma io scossi la polvere dalle mie suole, e mi ritirai in preghiera solitaria, mentre al campo gli scellerati si dilettavano in passatempi da osteria. Vent-Otto fu anche umiliato da King in una oscena competizione basata su quella che considerava la prima delle sue virtù.
Ma le pecore smarrite non sapevano che così preparavano la loro rovina.
La Rovina che si sarebbe realizzata per la loro stessa mano.

L'indomani attaccammo il paese di San Terenzio. Eravamo schierati in posizione favorevole, in attesa dei Morti che, come previsto, uscirono dal villaggio barcollando lenti verso di noi, in posizione ideale per essere falcidiate dalle mitragliatrici dei cacciatori. Ma ecco l'imprevisto: due Feroces, un bimbo e un mastino, si precipitarono rapidissimi verso di noi. Il bambino ci fu addosso prima che potessimo girare le mitragliatrici, ma gli Agnus Dei e Liberanosamalo posero rapidamente fine alla sua corsa eterna.
A questo punto, Dio decise di castigare i peccatori, armando la mano empia di Vent-Otto, che ebbe l'idea di gettare una bomba a frammentazione radente il carro armato, in direzione dei morti. Ed ecco, la mano divina fece aprire un portello del mezzo corazzato, la bomba vi urtò contro, rimbalzò fra di noi, esplose.
“Fratello” Gioacchino si gettò di lato, ma nell'impatto il braccio destro si ruppe; Vent-Otto riportò gravi ferite alla gamba; uno dei cacciatori perse completamente una gamba, diversi furono feriti. Il Signore volle salvare solo me e Fratello Celestino, che la sera primo Lo avevamo ricordato: mi difese con il tronco di un albero, mentre Liberanosamalo fu il riparo del mio confratello. Certo, si ruppe, ma le armi, almeno, si possono riparare.
Alcuni Morti ci erano addosso, noi eravamo ridotti a mal partito, ma il Signore, nella sua infinita generosità, volle concederci un'altra opportunità, e riuscimmo così ad eliminare i cadaveri che erano giunti sino a noi.
Non facile fu aiutare gli esseri umani: “fratello” Gioacchino fece, credo, del suo meglio, ma dovette amputare la gamba del cacciatore di morti, Vent-Otto probabilmente rimarrà zoppo per sempre ed io stesso, morso da un Morto nella colluttazione finale, fui ad un passo dall'infezione.
Quella sera, anche Fratello Celestino mi fu d'aiuto nel convincere tutti a pregare, e infatti il giorno dopo prendemmo il successivo paese, Sant’Elisa, senza particolari difficoltà, e perfino una bomba lanciata da Vent-Otto colpì nel segno.
La cattura del villaggio fu, anzi, fortunata per noi, giacché vi trovammo quel che restava dell'uomo in moto che ci sfuggiva da Firenze: il suo zaino, per metà immerso in acqua. Tutti i preziosi ivi contenuti ci furono requisiti da King, a parziale compenso dei danni da noi (ossia da Vent-Otto) provocati: egli non sapeva, o fingeva di ignorare, che quei danni erano stati causati anche dalla sua mancanza di fede. Ciò che rimaneva nello zaino era però prezioso per la nostra indagine: una maschera demoniaca, un gemello con il simbolo del serpente, la copia della Pseudomonarchia dei Demoni trafugata dalla casa di Olmi (purtroppo in gran parte illeggibile a causa del contatto con l'acqua), e infine i documenti dell'uomo, che lo identificavano come Adolfo Micheli.
Per la sera ci accampammo lì, in modo da rifocillarci e curarci prima di ripartire per S. Ezechiele. Eravamo ancora feriti, ma non potevamo attendere troppo: era già il 2 novembre, e S. Renato si avvicina.
Spero almeno che questi funesti accadimenti ci servano da monito per il futuro a non deviare dalla Santa via della Fede.

domenica 25 settembre 2011

I banditi


Grazie Signore, grazie! Sia lode alla Tua infinita saggezza, con la quale metti i Tuoi servi in condizione di operare per il Bene anche nella maniera più inaspettata, mentre perseguono altri fini. E grazie per averci reso ancora una volta strumenti dei Tuoi disegni, per confondere chi si oppone a Te: non esiste premio più grande per noi.
(Forse Vent-Otto in verità preferisce altre forme di premio)
Partiti alla volta di S. Ezechiele per la via più diretta, in groppa ai destrieri elargiti da Frate Ardizzone per rendere più celere il nostro inseguimento ai malvagi, cavalcammo per tutto il primo giorno senza incontrare imprevisti, sinché a sera giungemmo in vista della stazione di posta, dove fummo accolti da un oste che, per un giusto emolumento, ci fornì non solo buon cibo e un ottimo giaciglio, ma anche un insperato aiuto. Grazie alle preghiere che io, fratello Celestino e (almeno in apparenza) “fratello” Gioacchino stavamo rivolgendo al Signore, il Signore ispirò all'oste una risposta utile alla peccaminosa ricorrente domanda di Vent-Otto, che sempre ricerca la il peccato che viene eternamente punito dall'Infernal Bufera. Il nostro ospite, infatti, negò la disponibilità di avvenenti fanciulle, ma rivelò che, due giorni prima, erano transitati da lì un uomo ed una donna, non giovanissima ma seducente, su una motocicletta: erano partiti subito, e noi non stentammo a capire che si trattava di coloro che stavamo cercando. Oltre a loro, erano passati un gruppo di americani cacciatori di morti, diretti verso Faenza, in luoghi ad avviso dell'oste pericolosissimi.
Dopo una notte ristoratrice, ripartimmo, ma questa volta il viaggio non sarebbe stato così tranquillo. La prima avvisaglia fu l'incontro con un Simplex, reso inoffensivo dalla posizione, in quanto era innaturalmente impigliato sui rami di un albero cresciuto su una scarpata. Si contorceva, impotente: non fu difficile rendere inoffensive quelle povere spoglie, oramai abbandonate da un'anima che doveva essere stata molto pia. Era il corpo di un francescano.
Recuperammo il rosario a frammentazione, ma il poveretto non aveva altro con sé: i fori da proiettile nella schiena mostravano chiaramente che era stato ucciso in un agguato, probabilmente dai banditi che infestavano la zona.
Poco oltre, trovammo le tracce di un nuovo agguato, che doveva aver coinvolto la moto che stavamo cercando. C'erano tracce pesanti, come di una sgommata, c'erano i segni di un incidente, c'erano tracce di sangue, c'era infine il segno delle ruote della moto che era ripartita per la sua strada. Ma aveva perso qualcosa?
C'erano anche molte altre tracce, a piedi questa volta, evidentemente quelle degli aggressori, che portavano ad un sentiero quasi invisibile: dominati dal desiderio di giustizia come eravamo, decidemmo di seguirle.

Il sentiero portava ad un casolare, le cui condizioni erano discutibili, ma non certo quanto i suoi abitanti: non appena ci videro cominciarono a spararci addosso, nonostante i segni che portavamo su di noi. E, forse, chi non rispetta i Servi del Signore può rispettare il Signore stesso? No, e infatti alle pallottole gli scellerati unirono le bestemmie, orrende e sacrileghe. Io e fratello Celestino ci guardammo negli occhi, iniettati di sangue per l'offesa a Nostro Signore: senza bisogno di parlarci, ci gettammo fuori dai cespugli, incuranti di ogni protezione, smaniosi di porre fine, anche con la violenza, a quello scempio.
I proiettili ci saettavano intorno, qualcuno di essi anche addosso, ma non poterono scalfire la nostra Fede né le nostre corazze: in breve, sfondammo la porta, entrammo nella casa, e stendemmo a pugni gli inquilini che le precise pallottole di “fratello” Gioacchino, e perfino di Vent-Otto, avevano lasciato in piedi. In breve, gli scellerati si arresero. L'unico morto fu un giovane che non si voleva rassegnare alla sconfitta, e che fu freddato da “fratello” Gioacchino, che ai pugni preferisce le pistole.
In breve, però, ci rendemmo conto che gli scellerati, che vivevano nella lordura come le fiere, meritavano più volte la morte, non solo per le bestemmie pronunciate, ma anche perché nella loro casa trovammo gli inequivocabili indizi di molteplici crimini, i bagagli derubati a molti viandanti (fra i quali non pochi frati) che erano stati loro vittime negli anni precedenti, come loro stessi ci confessarono.
Ma l'orrore più grave si trovava in cantina: qui era tenuta una donna, la donna della moto, ignuda, che era stata palesemente sottoposta a violenze, anche quelle del tipo più osceno e peccaminoso, al punto di essere ridotta in fin di vita. Alle percosse, alle umiliazioni si univa una piaga purulenta, che il “medico”, “fratello” Gioacchino provò a guarire, stranamente ottenendo un successo limitato, visto che l'adoratrice del Demonio cadde in uno stato semicomatoso, probabilmente tenuta sul limite della vita dalle sole ardenti preghiere che rivolgevo al Signore affinché ella avesse modo di pentirsi prima di essere mandata al rogo.
A questo punto, si accese una discussione fra di noi. Io ero propenso a continuare subito, senza por tempo in mezzo, il nostro viaggio verso S. Ezechiele: troppo era il vantaggio dell'adoratore del demonio sfuggito ai banditi! Quanto a costoro, proponevo di massacrarli in espiazione dei loro peccati. Fratello Celestino, più attento agli aspetti formali, proponeva di portarli al più vicino paese, la stazione di posta nel quale avevamo trascorso la notte, per consegnarli all'Inquisizione, anche in considerazione della numerose prole d'infanti che quella scellerata famiglia di criminali cresceva  nel peccato e nella lordura. “Fratello” Gioacchino concordava con me sull'opportunità di proseguire, ma riteneva che i peccatori fossero stati sufficientemente puniti dal nostro intervento. Bestemmia! Come può un uomo di Chiesa pensare un simile obbrobrio? Come si potevano risparmiare uomini rei di assassinio, stupro, furto, rapina e financo di bestemmia? Certo, io avevo già loro perdonato di cuore tutto, compreso l'avermi sparato, perché sta scritto che si devono amare i propri nemici. Ma questo per quanto riguarda l'anima: il corpo è tutta un'altra faccenda.
Proposi una mediazione: chiudere tutti in una stanza ben serrata, e recuperarli al ritorno, qualora fossero sopravvissuti (anche per dar loro modo di riflettere sui loro peccati), ma anche questa proposta non fu accolta.
Fu Vent-Otto a trovare la soluzione, con il suo pragmatismo laicale: nella rimessa trovò, infatti, un camion che, messo in funzione da Fratello Celestino (più per grazia divina che per sua capacità), ci permise di raggiungere il paese in breve tempo. Lì, tra l'altro, apprendemmo che la banda infestava da tempo la zona, e potemmo affidare Sandra Iaconi (così si chiamava la donna da noi salvata sino al rogo, come avevamo appreso grazie ad alcuni documenti trovati fra la refurtiva, insieme alla maschera demoniaca di Lilith, che ella doveva avere indossato nei riti sacrileghi) a cure più qualificate di quelle che potevano essere prestate da “fratello” Gioacchino.
Così il Signore aveva guidato i nostri passi ad estirpare un male di cui nemmeno conoscevamo l'esistenza, e insieme ci aveva donato preziosi elementi per continuare la nostra caccia ad un male ancora più grave.(Molti scudi, ndr)

Senza attendere ulteriormente, ripartimmo alla volta di S. Ezechiele, nuovamente a cavallo perché nel tragitto avevamo pressoché esaurito le scorte di carburante. All'imbrunire, eravamo nella derelitta e abbandonata città di Faenza, nella quale, trovata una casa ancora in condizioni accettabili, passammo una relativamente tranquilla (salvo alcune farneticazioni di “fratello” Giacchino, che sembra proprio che abbia le visioni, o almeno le allucinazioni uditive) di sonno e preghiera.