venerdì 4 aprile 2014

Info

Carissimi, con grande dispiacere vi comunico che la campagna è sospesa a data da destinarsi, i tarocchi della vita ci hanno fatto intraprendere strade molto diverse, e ahimè, il gruppo più affiatato che avessi mai avuto si è, temporaneamente, sciolto. Torneremo, sì, torneremo al suo di tromba di Baracca e non ci saranno Ferox o Atrox a fermarci...

Vi lascio con questa splendida immagine del nostro Caporale Welsh (in arte Simone Delladio). L'immagine la troverete nell'ultimo manuale di Sine Requie in uscita a Modena, da domani 5 aprile, e troverete anche il Caporale... passate a fargli un saluto...

sabato 15 febbraio 2014

Avviso ai naviganti...

Chiediamo scusa, ma per circa un mesetto sospenderemo le sedute a Sine Requie, avvenimenti importanti delle nostre vite (ed anche piacevoli) ci costringono a prenderci un breve periodo di pausa, ma non temete Baracca e gli altri torneranno al più presto ad allietare le vostre giornate... ciao a tutti!!!


sabato 1 febbraio 2014

L'oro di Kartoffen

Bisognava ammettere che, data la dipartita di Kartoffen, si era liberato un posto in auto e il nuovo venuto condivideva con il crucco almeno alcuni aspetti, come la grande disponibilità al tradimento e alla diserzione, visto che, pur appartenendo fieramente (a suo dire) al corpo dei bersaglieri, si riprometteva di non tornare mai più in patria, e come l'appartenenza alla schiera dei nostri nemici nella guerra mondiale.
Baracca giurò di essere disposto a dare la vita per noi se l'avessimo preso nel gruppo (ma rifiutò ogni ipotesi di pagamento anticipato), colpì una lattina con una scarica di mitra, dimostrando insieme la sua precisione e la sua scarsa astuzia, visto che aveva consumato metà caricatore per impressionarci, asserì di conoscere bene le vie, mostrò un prezioso orologio d'oro appartenuto a suo padre, un caro ricordo che era prontissimo a barattare con un biglietto per gli USA, infine ci prese per sfinimento e (anche grazie alla corruzione a suon di tabacco operata verso Joe) accettammo di portarlo con noi.

La prima tappa fu il paese nel quale sapevamo che Kartoffen aveva occultato l'allora suo, ora nostro tesoro: non era lontano e quasi sulla via per Lisbona: ci arrivammo in poco più di un'ora.
Lo scenario era inquietante: il paese era disabitato e ridotto a macerie come molti altri nelle terre perdute, ma fra le rovine pareva annidarsi qualcosa di malvagio. Mirammo diritti alla piazza principale, nella quale si trovava la fontana sotto una lastra della quale Kartoffen aveva riposto il tesoro. Trovammo subito il nascondiglio: la botola era spalancata e lo scomparto desolatamente vuoto. Joe dichiarò che certo Kartoffen non poteva essere stato così ingenuo da non prevedere un doppio fondo, invece risultò che era stato così ingenuo. Per un attimo Joe valutò l'ipotesi di tornare al Louvre per accertarsi che la morte inflitta dal micio a crucco fosse abbastanza dolorosa, ma non avevamo tempo.
Improvvisamente, udimmo un rumore provenire dal Municipio, che si trovava proprio davanti alla fontana. Occupammo l'edificio con una rapida e brillante operazione militare: era vuoto. C'era solo una radio. L'accendemmo, e subito cominciò a gracchiare un messaggio: era una comunità di sopravvissuti che abitava in un paese lì vicino e posto proprio sulla strada per Lisbona, su una montagna, e che asseriva di avere abbondanza di armi e viveri, nonché di essere disposta ad accogliere chiunque.
In altre parole: una chiarissima esca per chissà quale trappola.
Quando, poche ore dopo, passammo in prossimità del paese dichiarato, notammo una serie di drappi rossi inerpicati per una via di montagna e che chiaramente indicavano l'itinerario per raggiungere la comunità. Ci fermammo lì giusto il tempo per fare a pezzi tre morti (due civili e un tedesco in divisa, che dal foro alla tempia pareva chiaramente essere stato giustiziato: ma che diavolo ci faceva così lontano dalle sue linee?), per perquisirli senza trovare nulla di utile e per rimirare il paesaggio mozzafiato.
Poi ripartimmo. Chissà se avevamo fatto bene a ignorare il villaggio? Facilmente erano loro ad avere il tesoro di Kartoffen, ma forse, in quanto americani, saremmo stati imbarcati senza che ci fosse richiesto il prezzo del biglietto.

E poi il Signore ha prescritto di vivere in povertà, che diamine!

lunedì 27 gennaio 2014

Un nuovo amico per il Cap. Webster

Probabilmente Kartoffen meritava la triste sorte che ha avuto. Non per le stragi e le persecuzioni perpetrate nella sua militanza nelle file tedesche, forse, perché di quelle si era pentito (credo); non per il suo contributo alle aberrazioni create dal Reich, giacché di quello si era riscattato rivelando quanto sapeva in quel laboratorio inglese; sicuramente, però, per il solo peccato che non conosce redenzione: rinnegare il vero Dio.
Io provai a richiamarlo alla realtà, a ricordargli la vera fede per mezzo della radio con cui comunicavamo con lui tenendoci, a distanza di sicurezza, fuori dal Louvre: nemmeno il mio ammonimento ebbe effetto alcuno. Ebbene, che rimanesse con quel demone felino che adorava in veste quasi divina, e che andava divorandogli un dito dopo l'altro, mentre Kartoffen si compiaceva, come avviene a tutti coloro che si votano a Satana e nel piacere perdono l'anima e il corpo.
A dire il vero, forse per un attimo il nostro crucco ebbe un barlume di lucidità, perché udimmo un “Ahia!”, e intravedemmo i Reichguard chiudersi su di lui, e trascinarlo nelle cantine del Louvre. Joe decise che quella non era una morte degna del nostro compagno, e ratto come la folgore gettò nella sala principale del palazzo, vicino alle guardie, un palla di potentissimo esplosivo al plastico, capace forse di spazzare via morti e vivi. Disgraziatamente, si rese tosto conto di aver tralasciato un particolare: come innescare l'esplosivo?
I mostri si allontanarono fra le tenebre degli scantinati in tutta tranquillità.

Non appena essi furno scomparsi, io decisi, solo ed audace (e forse financo un tantino idiota) di penetrare nel museo e verificare lo stato di conservazione dei gioielli della corona che un tempo vi erano custoditi. Entrai nell'edificio, mentre in lontananza si udiva uno strano suono di tromba. L'ingresso era vuoto, così, cauto e silenzioso, mi diressi verso l'ala che mi interessava: qualcuno l'aveva saccheggiata! Non era rimasto nulla dei preziosi! Dal Giorno del Giudizio la civiltà aveva smesso di esistere sulla terra, era tramontato ogni rispetto per la cultura.
Indignato, mi calai da una finestra, per evitare di dover passare di nuovo davanti all'ingresso degli scantinati, che mi incutevano un certo timore.

Tornato dai compagni, li trovai intenti a dialogare con uno strano personaggio: era un italiano, affermava di chiamarsi Baracca e veniva dal Sanctum Imperium con la tromba e con un messaggio per i partigiani francesi, ma si dichiarava amante degli Stati Uniti. Si esprimeva in un inglese buffo, quasi incomprensibile, ma ci fece chiaramente capire che ci implorava di poter venire con noi a Lisbona, e poi negli Stati Uniti (Paese con il quale argomentava di avere affinità in quanto nato a Filadelfia in Sicilia). Il nostro Comandante, giustamente, nicchiava: perché il nuovo venuto intendesse, al di là delle incomprensioni linguistiche, il suo scetticismo sul farlo venire con noi, il Capitano cominciò con lo sparargli qualche colpo fra le gambe, ordinò a me di arrostirgli qualche capello con il lanciafiamme e a Joe di fargli saltare via il cappello. Invano: l'ostinato personaggio continuò a tediarci con le sue richieste per tutto l'itinerario verso il rifugio dei partigiani.
Qui giunti facemmo rapporto, senza omettere nulla (erano stati tra l'altro i partigiani stessi a saccheggiare avidamente il Louvre per finanziare le loro attività: pare che avessero perfino resituito la Gioconda agli italiani in cambio di sostegno logistico), e meritammo così la nostra Jeep, che si rivelò essere una sorta di autoblindo leggero francese giallo e rosso (rossa con capottina gialla

lunedì 20 gennaio 2014

Il segreto del Louvre

Oh follia e vanagloria degli uomini! Il palazzo del Louvre, già simbolo di sfarzo e potere terreno, si stagliava davanti a noi, fortemente danneggiato dai bombardamenti, perché i superbi saranno umiliati e gli umili esaltati! L'antica reggia versava in uno stato così pessimo che era impossibile stabilire a prima vista se l'ala dei Fiamminghi del Cinquecento sarebbe stata accessibile, per non parlare della Gioconda, per ammirare la quale avevamo addirittura portato un taglierino.
L'edificio sembrava deserto, anche se sapevamo benissimo che non lo era, e udimmo anzi un inquietante suono simile ad un miagolio. Tutti si chiesero cosa potesse essere: io ipotizzai che potesse trattarsi di un gatto, ma la mia idea fu rigettata come fantasiosa.
Si riaccese una discussione: da dove entrare? Kartoffen sconsigliava l'entrata principale: “Potremmo usare una presa d'aria”, suggeriva l'accorto stratega. Il Capitano, ancora più accorto, gli fece notare che palazzo grande non significa prese d'aria in proporzione, e che del resto Kartoffen si era dimostrato troppo grosso per entrare in un carro armato, figuriamoci in una presa d'aria.
Di fatto, i francesi si erano dimostrati abbastanza furbi da non usare per accumulare inestimabili tesori d'arte un palazzo con prese d'aria abbastanza grandi da far passare un uomo, così entrammo dalla porta principale, dopo aver schierato l'intera truppa dei disertori tedeschi nascosti nei dintorni e pronti a coprire col fuoco un'eventuale ritirata. Solo il sergente venne con noi.

Superammo senza problemi (e senza pagare) la biglietteria, e appena entrati nell'atrio notammo che le vie d'accesso al piano superiore erano bloccate dalle macerie. Stavamo valutando se optare per l'ala dei reperti mesopotamici o per quella dei gioielli (con una netta inclinazione per questi ultimi), quando Kartoffen stupì tutti inginocchiandosi e cominciando a omaggiare un certo “Imperatore”, implorandolo di mostrarsi.
A dire il vero, per il momento si rivelò solo uno di quei cadaveri nazisti, che fulmineo uscì dall'ombra e ferì Kartoffen alla spalla. L'avrebbe senza dubbio massacrato, ma il nostro crucco biascicò alcune parole, ed il mostro di fermò, come raggelato. A fatica, Kartoffen si sottrasse al fatale abbraccio, solo per offrirsi alle nostre inquisizioni: dovette rivelare che sapeva cos'erano quei mostri, perché aveva partecipato alle prime fasi della loro progettazione. Erano i Reichward, macchine da guerra potentissime, ma per fortuna conosceva un ordine per fermarli. A suo dire, non aveva ordini per comandarli né poteva rivelarci quello di stop, perché di sicuro l'avremmo pronunciato male. Del resto, quei Reichward in particolare parevano essere soggetti a qualcosa di tremendo, visto come era stato tardo il mostro ad ubbidire.
Joe stava già studiando un carretto a trazione Reichward, data la rapidità del mostro, quando si sentì un nuovo miagolio, ed il cadavere modificato fuggì nelle profondità del museo. Pochi istanti dopo, dalle tenebre uscirono ben diciannove Reichward, che si suddivisero in due ali attorno a noi, lasciando fortunatamente libera la porta.
Non parevano minacciosi, ma Kartoffen ci gridò di inginocchiarci: arrivava l'Imperatore. Ubbidimmo, ed ecco comparire...un gatto! Un gatto che emetteva (pensate un po') dei miagolii, e che aveva sembianze poco europee. Non sembrava pericoloso, anzi si avvicinò a noi, e più precisamente a Kartoffen, il quale continuava ad omaggiarlo come Imperatore. Per non essere da meno, mentre mi prostravo provai a rivolgermi a lui come a Bastet, ma sembrava interessato solo al crucco.
I miei impavidi compari cominciarono a praticare una notevole forma sportiva, che consisteva nel quasi impercettibile movimento di ginocchia e di piedi che permetteva di arretrare verso la porta d'uscita quasi senza cambiare posizione. Solo io rimanevo al fianco di Kartoffen, di fronte al misterioso felino.
Se avevamo immaginato che il nostro buon Otto Kartoffen avesse un piano, oltre a gridare per invocare il Signore del Louvre per richiamarlo davanti a noi, sbagliavamo: sembrava capace solo di ripetere atti di sottomissione all'illustre Imperatore. Improvvisamente, però, cambiò strategia, passando da “Illustre signore” a “bel micino”, allungando la mano per accarezzarlo. Il gatto non si dimostrò infastidito, anzi parve gradire, solo che...staccò con un morso l'indice destro del nostro, mettendosi poi placidamente a mangiarlo, facendo le fusa.
Anche io cominciai a praticare lo stesso esercizio dei miei compagni, iniziando il mio moto immobile verso la porta. La bestiola sembrava intanto gradire il dito di tedesco, così prese anche l'anulare. Kartoffen ne sembrava felice.

Intanto, io avevo raggiunto gli altri sulla soglia del museo, e con un balzo avremmo potuto essere fuori. La missione era stata portata a buon termine: avevamo scoperto cosa si nascondeva al Louvre, avremmo potuto andarcene e incassare la Jeep. Ma che sarebbe stato del nostro amico amante dei felini? E i maestri fiamminghi del Cinquecento? Il Capitano, con la consueta autorevolezza, allora proclamò: “Nessuno del mio gruppo resta indietro. Però è anche vero che Kartoffen non è mai stato veramente parte del gruppo”.

sabato 11 gennaio 2014

Anche Kartoffen può servire

La vita, così sconvolta dopo l'Apocalisse, non manca mai di fornire motivi di meraviglia: forse per questo il Nostro Signore ci ha vietato di uccidere il prossimo. Io, ad esempio, non mi sarei mai e poi mai aspettato di essere d'accordo con Kartoffen e di avvalermi del suo appoggio per un'opera di giustizia. Dunque, è stato bene non ucciderlo (ancora).

Nonostante il coraggio che contraddistingue i membri del nostro gruppo e la tentazione di avere un mezzo capace di portarci a Lisbona su quattro ruote, andare al Louvre e scoprire cosa aveva richiamato gli inarrestabili mostri nazisti non era questione da prendere alla leggera. Il Capitano, in particolare, argomentava che sarebbe stato più prudente “andare a Lisbona a piedi che visitare il Louvre”, osservando per inciso che “ci potrebbero pure andare loro, al Louvre, se sono così curiosi” (come se non fossero da compatire per il poco coraggio che il Signore aveva loro donato, invece di condannarli); il Pagano gli dava corda, mentre Joe nicchiava, sostenendo tra l'altro che “il Fato crudele (anche noto come “il Master” NdR) ci toglierà di certo la Jeep entro pochi chilometri da Parigi”.
Solo io ed il crucco sembravamo decisi ad accettare la proposta dei partigiani parigini. Eppure, l'opportunità di andare al Louvre era evidente:
-        senza un mezzo a motore non saremmo mai arrivati a Lisbona prima della partenza del transatlantico;
-        la guerra ai nazisti non era mai stata dichiarata conclusa, ed era nostro dovere militare aiutare i partigiani a combatterli;
-        si trattava di una straordinaria occasione di arricchimento culturale;
-        avremmo potuto visitare le sale dei fiamminghi del Cinquecento.
Alcuni sostenevano che fosse meglio arrivare a Lisbona vivi ma in tempo, sicché alla fine dichiarai che, trattandosi di una nobile missione, se fossimo morti compiendola le porte del Paradiso sarebbero state aperte per noi.
Dopo una simile, solenne dichiarazione, io e Kartoffen ci mostrammo decisi ad andare al Louvre anche da soli; Joe si dispose a seguirci dopo aver contrattato con i partigiani un aumento della paga, ottenendo armi, munizioni e anche un nuovo bazooka; il Capitano si rassegnò a seguirci, comprendendo che il gruppo aveva democraticamente scelto e che, oramai, non eravamo più un drappello militare ma una squadra di commilitoni che collaboravano per salvarsi. O, forse, “per salvare il culo a degli idioti”.
Così, più o meno concordi, ci avviammo verso il Louvre, in compagnia di un altro crucco che militava oramai da anni fra i partigiani e da un drappello di ex commilitoni che avevano del pari disertato. La camminata fra le macerie di Parigi – lato francese (mentre oltre il muro che delimitava la zona tedesca la situazione sembrava decisamente migliore) fu resa meno monotona dal massacro di un paio di simplex già partigiani e da allegri cori in onore di Otto von Skorzery, oramai assunto a simbolo ed emblema di tutti i tedeschi disertori “per idealità” e per questo esaltato dallo sparuto drappello quasi con lo stessa forza con la quale il resto dei compatrioti avrebbero voluto averlo fra le mani.
Fu una faticaccia tenere a freno il nostro Otto Kartoffen dal rivelarsi.

Infine, intravedemmo quel che restava dello splendido palazzo del Louvre.