mercoledì 16 novembre 2011

Nel buio del dubbio, la luce del Signore vi indicherà la vostra strada

Appena Gioacchino si fu congedato, Frate Ardizzone assegnò a me e a Celestino (il quale, certo ispirato dal Signore, accettò di buon grado di continuare a collaborare con la Santa Inquisizione, dimostrando che un buon cristiano è tale qualunque veste porti) un incarico che avrebbe potuto rivelarsi di massimo rilievo, forse per la stessa sopravvivenza della Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica.

I cavalli erano già sellati, e senza nemmeno concederci il tempo di un riposo eravamo già in sella verso Torino, dove ci aspettava Gianpaolo Pautasso, un capo excubitor che aveva pesanti sospetti su accadimenti inspiegabili che lì accadevano. Un uomo fidato. Sapevamo che non avremmo potuto fidarci di nessuno: era possibile che la corruzione fosse giunta fra le alte sfere locali, e financo nel seno della Chiesa. Del resto, ci era stato rivelato anche che avevamo un nemico potente, e – molto mi spiace ammetterlo - nelle stesse santissime fila dell'Inquisizione. Del resto, nessuna congrega umana è così santa da santificare chiunque ne faccia parte, e anzi spesso il Demonio si bea nel confondere le file dei fedeli. Il nome del nostro potente nemico era il Venerabile Fra Ruina.

Dopo tre giorni di cavalcata senza storia, arrivammo alle porte di Torino, ma decidemmo di passare la notte nella Rocca dei Cavalieri della Sindone, presso l'antico Palazzo di Stupinigi. Qui fummo accolti con pia disponibilità, anche perché, come ciascuno sa, tale Ordine è strettamente legato a quello dei Templari.

Il mattino dopo, ci siamo presentati da Pautasso che (a quanto si è scoperto) era stato commilitone di Fratello Celestino, e questo l'ha reso particolarmente ben disposto nei nostri confronti. Purtroppo, la questione era assai oscura: strani Morti si aggiravano per la città. Due neonati Ferox erano sbucati dal Po, aggredendo alcuni excubitores, che a fatica ne avevano avuto ragione e che, prima di eliminarli, avevano notato le loro schiene bruciate e un marchio a fuoco dietro l’orecchio, raffigurante un serpente. Ma noi stessi fummo testimoni del peggio: un altro mostro, una sorta di Scannatrice(in realtà non c’entra nulla, ndr), fu avvistato nella zona di piazza Vittorio proprio mentre noi ci trovavamo da Pautasso, a Palazzo Città (nella vicina piazza Castello). Accorremmo, la eliminammo soprattutto grazie al vigore di Fratello Celestino.

Purtroppo, sapevamo di chi fosse il corpo: era quello di Padre Rosario, inviato da Frate Ardizzone a Torino prima di noi, e scomparso da alcuni giorni.

Il corpo del poveretto era stato svuotato delle interiora, per la precisione di tutto l'intestino e di una parte delle altre. Inoltre, Fratello Celestino notò che da uno dei suoi due occhi cuciti usciva una pergamena, recante strane rune: era chiaro che non si trattava di un morto ordinario (come se non bastassero!), ma del frutto di un rito malvagio!

Subito pensai alla mummificazione, e pensai di chiedere un permesso per visitare il Museo Egizio, un tempo assai noto in quella città, immaginando di potervi trovare indizi. Ma, prima di poter prendere tale iniziativa, mi attendeva un'altra sorpresa.

Il mattino dopo, infatti, da Pautasso io e Fratello Celestino trovammo una situazione intricata: con nostro grande stupore, vedemmo Gioacchino e il defunto Vent-Otto (che però era vivo e vegeto) intenti a sporgere denuncia per il furto di un diario, e un contadino che asseriva di averli visti (o meglio, di aver visto un uomo uguale a Vent-Otto e un altro che aveva lo stesso bastone di Gioacchino) portare Padre Rosario in campagna, su un carro nero, e trafiggerlo al cuore col bastone animato, mentre 28 lo teneva, per poi ricaricarlo sul carro.

Certo, la dinamica pareva strana, come subito notò Celestino, ma ancor più strano era che il presunto Vent-Otto che avevamo davanti, non era Vent-Otto! Asseriva invece di chiamarsi Adolf Stettermaier; sosteneva di conoscerci sulla base di un sogno, e di aver giurato di difendere Gioacchino (infatti appena giunti a Torino erano stati anestetizzati durante un'orgia, riportati in albergo e derubati, a quanto pareva dal racconto che ci fecero dei giorni precedenti).

Non mi fidavo: gli aprii la camicia e...sul petto non c'era più il numero 69.

Invece, era tatuato un numero 9.

Quanti altri uomini come lui, frutto (a quanto risultava) di un esperimento di clonazione nazista, c'erano in giro? Troppi?

E, forse, volendo fidarci di Gioacchino, uno di costoro aveva ucciso, la notte prima, e praticato il rito per risvegliare in quel modo l'inviato di Frate Ardizzone? Oppure era stato proprio questo sedicente Adolf a carpire la fiducia di Gioacchino, collaborare nell'addormentarlo, e poi usare questo alibi?

La dinamica particolare lasciava sospettare il tentativo di incastrare il nostro amico e la sua nuova guardia, ma davvero si può prestare fede a chi si finge frate, lavora per la Chiesa, ma si dedica alle orge più sfrenate?

E, tra l'altro, come scoprimmo in quella circostanza, è il fiero nipote di Friedric Nietzche, il quale certo non è il più pio fra i filosofi?

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