mercoledì 16 novembre 2011

Intrigo a Torino

Passati pochi giorni dalla disavventura con la setta di Belzebù, i miei compagni ed io ci recammo al cospetto di Frate Ardizzone. Egli mi consegnò una busta, che conteneva una missiva di Federico, il mio contatto a Torino. Poco tempo addietro avevo ricevuto un'altra sua lettera, in cui mi aggiornava circa i risultati di alcune sue ricerche: aveva scoperto che, tra i rami del mio albero genealogico, trovava posto nientemeno che il grande filosofo tedesco Friedrich Nietzsche.

Ora mi scriveva nuovamente, chiedendo di recarmi urgentemente a Torino, questa volta non sotto mentite spoglie, ma in veste di me stesso, Sebastian Joaquin, erede di Nietzsche. Sfruttando la popolarità del mio prozio, sarei entrato in contatto con organizzazioni massoniche dalle spiccate tendenze anticlericali, vicine, a loro stesso dire, all'autore dell'Anticristo. Il Sant'Uffizio aveva ragione di credere che i “fatti strani” che stavano accadendo a Torino, di cui nella lettera non si faceva menzione più approfondita, erano in qualche modo collegati a queste organizzazioni. Il mio compito, in quanto agente del Sant'Uffizio, sarebbe stato indagare su questi fatti strani e scoprire chi o che cosa vi stava dietro, anticipandone le mosse, per quanto possibile.

Letta la missiva, mi accomiatai rapidamente dai miei compagni, come presentendo che presto le nostre vie si sarebbero di nuovo incrociate. Mi recai all'hotel Arno, come indicato da Federico, e quando aprii la porta della stanza assegnatami, numero 69, mi ritrovai davanti a una visione triplicemente scioccante: 1) il mio amico Otto, il cui corpo avevo visto prima perforato da una pallottola, quindi fatto a pezzi, si sollazzava ora con una giovane, nella vasca della mia stanza; 2) quando mi vide si alzò in piedi, non curandosi di coprire ciò che, ad ogni modo, sarebbe stato impossibile coprire col solo ausilio delle mani; 3) si rivolse a me come parlando a un frate – mentre il vero Otto da tempo aveva capito che non ero che un falso – e mostrando inoltre un rispetto nell'eloquio e una devozione, che mai avevo udito proferire da quella bocca; infine mi accorsi che il numero che aveva tatuato sul petto non era il 69, ma il 9. Era questa la “sorpresa” a cui si riferiva Federico nella lettera, in cui accennava anche che colui che avevo di fronte era il risultato di esperimenti genetici nazisti!

Era evidente che chi avevo di fronte non era Otto, ma una sua copia, con una personalità apparentemente diversa da quella del mio amico. Mi disse di chiamarsi Adolf Stettermajer e che si ricordava di me, padre Joaquin, anche se i suoi ricordi erano molto confusi, come in un sogno. Dopo che gli ebbi rivelato che non ero un prete – infatti, benché non potessi fidarmi ciecamente di lui, non c'era bisogno di mentirgli, non dovendo più nascondere la mia identità – ci preparammo per il costosissimo viaggio in treno che Federico aveva provveduto a prenotare per noi.

Il viaggio procedette senza intoppi. Arrivati alla stazione di Porta Nuova, fummo subito avvicinati da un uomo, che ci invitava, a nome dell'associazione che rappresentava, presso corso della Redenzione(ex Stati Uniti), per quella sera stessa. Una carrozza nera ci scortò fino alla camera d'albergo già prenotata e pagata, come mi era stato scritto da Federico: scaricati i bagagli, la carrozza ci portò all'appuntamento. Una volta arrivati, io e colui che presentai come la mia guardia del corpo, fummo accolti calorosamente. Mi presentarono diverse personalità dell'alta società torinese e conversai amabilmente con alcuni di loro per qualche tempo, raccontando o inventando aneddoti sul mio prozio. Tra gli altri, ebbi il piacere di conoscere la contessa Elisa Malan: con lei e altre signorine trascorsi la notte e anche il vecchio Adolf ebbe il suo bel da fare.

Ci riportarono all'albergo spossati, mentre già albeggiava. Io salii in camera, mentre Adolf fu scaricato semi-svenuto fuori dall'albergo. Quando la mattina dopo mi ripresi, notai che, durante la nostra assenza, qualcuno doveva aver trafugato il diario di Nietzsche, che Federico mi aveva affidato e che io avrei dovuto custodire gelosamente. Da quanto avevo avuto modo di vedere, conteneva rune e simboli a me sconosciuti; non era difficile immaginare a chi sarebbe potuto interessare.

Ci recammo dunque alla polizia per sporgere denuncia del furto. Lì avemmo due sorprese, la prima molto piacevole, la seconda decisamente spiacevole. Infatti, mentre stavamo denunciando l'accaduto, con nostro sommo stupore entrarono Celestino e Fra Novella! Con loro c'era un agente grosso quasi quanto Celestino e un contadino, che appena ci vide ci puntò il dito contro, gracchiando: “Sono loro i colpevoli, credetemi! Hanno ucciso loro quel prete!”.

Tutto ciò era accaduto in così poco tempo e molte domande ora ci attanagliavano. Chi aveva rubato il diario? E perché un volgare villico ci accusava di un misfatto che non avevamo commesso? C'era una qualche connessione tra questi fatti? A queste e altre domande avremmo presto dovuto trovare una risposta.

3 commenti:

  1. Adesso non vorrei fare il precisino ma... C'è uno che è pagato per proteggerti ed è onorato di farlo, ma, in meno di 24 ore ti ritrovi:
    1) Drogato
    2) Derubato
    3) Accusato di omicidio
    Non lo paghi tu vero?

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  2. Pensa se non lo proteggeva cosa poteva succedergli!!!

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  3. All'elenco manca solo la sodomia... ma è solo che la sua guardia del corpo è finita drogata! Altrimenti lo "spiedinava" durante il sonno!

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