lunedì 27 gennaio 2014

Un nuovo amico per il Cap. Webster

Probabilmente Kartoffen meritava la triste sorte che ha avuto. Non per le stragi e le persecuzioni perpetrate nella sua militanza nelle file tedesche, forse, perché di quelle si era pentito (credo); non per il suo contributo alle aberrazioni create dal Reich, giacché di quello si era riscattato rivelando quanto sapeva in quel laboratorio inglese; sicuramente, però, per il solo peccato che non conosce redenzione: rinnegare il vero Dio.
Io provai a richiamarlo alla realtà, a ricordargli la vera fede per mezzo della radio con cui comunicavamo con lui tenendoci, a distanza di sicurezza, fuori dal Louvre: nemmeno il mio ammonimento ebbe effetto alcuno. Ebbene, che rimanesse con quel demone felino che adorava in veste quasi divina, e che andava divorandogli un dito dopo l'altro, mentre Kartoffen si compiaceva, come avviene a tutti coloro che si votano a Satana e nel piacere perdono l'anima e il corpo.
A dire il vero, forse per un attimo il nostro crucco ebbe un barlume di lucidità, perché udimmo un “Ahia!”, e intravedemmo i Reichguard chiudersi su di lui, e trascinarlo nelle cantine del Louvre. Joe decise che quella non era una morte degna del nostro compagno, e ratto come la folgore gettò nella sala principale del palazzo, vicino alle guardie, un palla di potentissimo esplosivo al plastico, capace forse di spazzare via morti e vivi. Disgraziatamente, si rese tosto conto di aver tralasciato un particolare: come innescare l'esplosivo?
I mostri si allontanarono fra le tenebre degli scantinati in tutta tranquillità.

Non appena essi furno scomparsi, io decisi, solo ed audace (e forse financo un tantino idiota) di penetrare nel museo e verificare lo stato di conservazione dei gioielli della corona che un tempo vi erano custoditi. Entrai nell'edificio, mentre in lontananza si udiva uno strano suono di tromba. L'ingresso era vuoto, così, cauto e silenzioso, mi diressi verso l'ala che mi interessava: qualcuno l'aveva saccheggiata! Non era rimasto nulla dei preziosi! Dal Giorno del Giudizio la civiltà aveva smesso di esistere sulla terra, era tramontato ogni rispetto per la cultura.
Indignato, mi calai da una finestra, per evitare di dover passare di nuovo davanti all'ingresso degli scantinati, che mi incutevano un certo timore.

Tornato dai compagni, li trovai intenti a dialogare con uno strano personaggio: era un italiano, affermava di chiamarsi Baracca e veniva dal Sanctum Imperium con la tromba e con un messaggio per i partigiani francesi, ma si dichiarava amante degli Stati Uniti. Si esprimeva in un inglese buffo, quasi incomprensibile, ma ci fece chiaramente capire che ci implorava di poter venire con noi a Lisbona, e poi negli Stati Uniti (Paese con il quale argomentava di avere affinità in quanto nato a Filadelfia in Sicilia). Il nostro Comandante, giustamente, nicchiava: perché il nuovo venuto intendesse, al di là delle incomprensioni linguistiche, il suo scetticismo sul farlo venire con noi, il Capitano cominciò con lo sparargli qualche colpo fra le gambe, ordinò a me di arrostirgli qualche capello con il lanciafiamme e a Joe di fargli saltare via il cappello. Invano: l'ostinato personaggio continuò a tediarci con le sue richieste per tutto l'itinerario verso il rifugio dei partigiani.
Qui giunti facemmo rapporto, senza omettere nulla (erano stati tra l'altro i partigiani stessi a saccheggiare avidamente il Louvre per finanziare le loro attività: pare che avessero perfino resituito la Gioconda agli italiani in cambio di sostegno logistico), e meritammo così la nostra Jeep, che si rivelò essere una sorta di autoblindo leggero francese giallo e rosso (rossa con capottina gialla

4 commenti:

  1. Più di un uomo: un mito!
    Più di un mito: una leggenda!
    Più di una leggenda: Baracca!
    Abbiamo ricordato il suo coraggio,
    abbiamo ricordato le sue gesta,
    abbiamo ricordato le sue parole!
    Avevano bisogno di lui,
    ed egli è tornato per guidarli alla vittoria!

    Tratto da: "Ode a Baracca"

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