Infinite sono le vie del Signore, e non di rado
l'imperscrutabilità delle Sue scelte utilizza i piani dei malvagi per difendere
il Bene. Questa è una chiara prova di quanto superiore sia il potere celeste
d'Iddio rispetto a quello infernale di Satana – che mai potrebbe sfruttare il
bene per i suoi scopi. Quanti esempi ne forniscono gli accadimenti dell'ultima
giornata!
Io e Fratello Gioacchino arrivammo in casa di Olmi poco dopo
la fine della lotta, richiamati da un tardivo istinto di pericolo: se per questa
volta Agnus Dei non poté dare il suo contributo nell'alleggerire il mondo dai
Dannati, i nostri occhi diedero un forte contributo alla ricerca di indizi
della casa. Se non avessimo trovato nulla, saremmo stati ad un punto morto.
Proprio per questo, per eliminare l'unico nostro sospettato
ancora vivo, qualcuno aveva assassinato Olmi, tornato appunto come Maior. Per
nostra fortuna, chi aveva provveduto al crimine non conosceva tutti i
nascondigli segreti della casa nella quale aveva perpetrato l'orrido delitto,
tanto più orrido in quanto perpetrato ai danni di un sodale: ciò serva da
monito a chi si accompagna ai malvagi.
Forse, se fosse fuggito anche Olmi, avremmo perso ogni
traccia, ma ecco che per la prima volta il Male servì a sconfiggere il Male.
La cassaforte, certo, era stata ripulita dei suoi segreti
(incluso, senza alcun dubbio, un libro): vi erano però stati lasciati molti
preziosi, che decidemmo di prelevare in modo che gli excubitores pensassero ad
un furto a scopo di rapina (siete una banda di disgraziati, ndr). Frate
Ardizzone, infatti, ci aveva raccomandato di non dare adito nemmeno al sospetto
che stessimo indagando su un culto satanico.
Non era stato, invece, scoperto un cassetto segreto di una
meravigliosa scacchiera (realizzata dall'illustre opificio “L’indovinello”), al
cui interno trovammo tre lettere, di cui una scritta in un codice decifrabile,
a quanto risultava, solo grazie al libro oscuro …. .
Le altre due lettere, invece, pur scritte in tono
enigmatico, non potevano celare il loro significato a menti illuminate
dall'aiuto d'Iddio. Erano firmate da un certo Belzebub, e non ci fu difficile
capire che gli affiliati alla setta sacrilega usavano chiamarsi l'un l'altro
con il nome di un Diavolo, un Diavolo le cui sembianze erano effigiate nella
maschera che costoro indossavano nei loro blasfemi rituali. Ebbene, si
annunciava un rito, un rito sacrilego che avrebbe avuto conseguenze enormi e
tremende, un rito che si sarebbe svolto nel volgere di appena venti giorni, nel
giorno di San Renato, il 12 novembre.
Bisognava agire rapidamente. Sistemato Vent-Otto in uno
Spedale dove un'accolita di suore potesse provvedere a lenire i suoi dolori e a
guarire la sua ferita, noi seguimmo la labile pista che avevamo trovato.
L'unico aggancio ci portava all'Arcobaleno: il proprietario,
un vero artista, era chiaramente un uomo timorato di Dio, desideroso di aiutare
dei sant'uomini come i templari. Per nostra fortuna, si ricordava di chi era
venuto con Olmi: era un certo Sandro Adamo, un pentito che ora contribuisce
alla tutela dell'ordine, o quanto meno tale sarebbe il suo dovere. Un dovere
che, a detta del suo superiore, aveva sempre atteso egregiamente, senza creare
problemi: negli ultimi giorni, però, era sparito.
Casa sua, dove ci recammo rapidamente, era vuota, a parte un
biglietto, che interpretammo come rivolto a noi, in cui chi scriveva annunciava
di attenderci in una vecchia casa diroccata dalla pessima fama, ben nota nella
zona. Era chiaramente una trappola, ma decidemmo di recarci egualmente sul posto:
non sarebbe stata la prima volta che, per confondere i malvagi, Iddio rivolgeva
contro di loro le loro stesse astuzie. In effetti, la trappola scattò, ma non
ne riportammo danni: appena fummo entrati dal retro, tre Simplices ci
aggredirono, mentre da dietro, ignudo salvo la maschera ed un'enorme accetta,
ci assaltava Adamo, non prima di aver dato fuoco, con l'ausilio di una tanica
di benzina, alla catapecchia.
Cantò Angnus Dei, cantò Libera Nos A Malo, suonarono le
pistole di Fratello Gioacchino: in breve, avemmo ragione dei nostri avversari,
ma fummo costretti alla fuga.
E, ancora, ci dovemmo servire del Male per perseguire il
bene. L'unica speranza, ora, era tradurre la lettera cifrata, e per questo
serviva La Pseudomonarchia dei Demoni.
Frate Ardizzone ci indirizzò ad un suo segretissimo contatto, un eretico
scomunicato che, tuttavia, l'Inquisizione teneva vivo in una gabbia dorata in
virtù della sua straordinaria conoscenza dell'Occulto e soprattutto
dell'Alchimia. Ci recammo da lui in segreto, e ci accolse con gentilezza
formale e parole blasfeme, irridendo la Sacra Fede e insinuando dubbi circa la
stessa saldezza dei nostri cuori, adombrando segreti che lasciava intendere di
conoscere. I più oscuri parevano essere quelli su Fratello Gioacchino, del
quale parevano in dubbio persino i Sacri Voti.
In altre circostanze, i nostri expiatores avrebbero messo
fine alla discussione, ma purtroppo in questo caso il blasfemo ci serviva vivo,
sicché passammo al motivo della visita. Egli non conosceva i luoghi blasfemi di Firenze nei quali meglio
si sarebbe potuto tenere il rito, ma mostrò di conoscere bene il libro blasfemo
che avrebbe fornito il codice per la lettera cifrata trovata in casa di Olmi.
Ne aveva perfino posseduta una copia, prima che l'Inquisizione ardesse la sua
biblioteca, lasciandogli la sola Bibbia.
Grazie ad una divinazione, l'alchimista trovò tre copie del
libro: una era stata fino a poco prima a Firenze, una seconda si trovava a Ravenna,
una terza a S.Ezechiele. Questa, in particolare, aveva aggiunte non originali.
Non avevamo scelta: con la benedizione di Frate Ardizzone,
decidemmo di partire alla volta di S.Ezechiele.
Il ghigno in un'ospedale pieno di monache... già me lo immagino
RispondiEliminaInfatti, ora è diventato un bordello, prontamente bruciato dall'inquisizione!!!
RispondiEliminaTroppo zelante questa inquisizione, preferisco quella corrotta e che ha due pesi e due misure.
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