sabato 3 settembre 2011

L'ira dei Templari

Vox populi, vox Dei” è, a ben guardare, una stolta deformazione di un Santissimo passo, perché al contrario troppo spesso la saggezza apparente del volgo si allontana da quella unica e vera salvezza che è la follia della Croce. Eppure, anche nei detti c'è una stilla di verità, e “Dagli amici mi guardi Iddio, che dagli amici mi guardo io” non è un'eccezione.

Esistono uomini di Chiesa e financo Inquisitori che seguono la via dell'aberrazione e dell'eresia, e addirittura sedicenti medici dei quali dovremmo avere fiducia, ma che sembrano molto più abili nel maneggiare una pistola che una cassetta del pronto soccorso. Dio non voglia che Fratello Joaquin legga queste righe, ma nel peggiore dei casi ci nasconde qualcosa, nel migliore è un peccatore perché ha sprecato il vero talento che il Signore gli ha concesso.

Per questo, preferisco continuare io il racconto, io che sono legato al Sacro Vincolo d'Onore dei Templari (e di certo non ho nulla da nascondere visto che non ho il background, tra l'altro. NdA).

Se un uomo saggio non può non nutrire perplessità su Fratello Joaquin, certo non ci potevano essere dubbi sulle intenzioni dei cinque figuri che avevano appena fatto irruzione nella stanza dell'Aberrazione Angelica, con un fucile spianato e quattro accette minacciosamente levate, sotto la guida di Frate Cosimiro, che brandiva invece un tomo di appunti dall'aspetto blasfemo e magico. Con lui, gli excubitores locali.

E' dovere di un Servo del Signore provare a redimere i peccatori prima di ucciderli (solo in caso di necessità), così prima di seminare la distruzione con Agnus Dei tuonai parole di fuoco contro il loro peccato, ma gli scellerati continuarono la loro azione bellicosa. Io fui ferito all'ultima gamba sana da un preciso colpo di Carcano, che mi colse in uno dei pochi punti non protetti dall'armatura. Così, mentre altri fratelli pavidamente si rifugiavano dietro un tavolo per ripararsi dai colpi di arma da fuoco, io decisi di appostarmi dietro il tavolo per tendere un'imboscata al primo che si fosse avvicinato.

Con l'aiuto di Dio, il piano funzionò, e due dei violenti eretici caddero triturati da Agnus Dei, mentre anche Liberanosamalo ed il carcano di Vent-otto svolgevano il loro triste compito. Nulla, però, fu più letale delle pistole di Fratello Joaquin, il quale non solo colpì in piena fronte Frate Cosimiro e ferì alcuni dei suoi seguaci, ma riuscì anche ad interrompere la fuga di Don Gualdo che si era appropriato del misterioso tomo caduto dalle mani del defunto Cosimiro.

Certi che i rumori avessero attirato l'attenzione degli ignari cittadini, tornammo alla casa che ci era stata assegnata (non prima di aver bruciato i cadaveri): qui Fratello Joachin ci prestò le prime cure, con risultati molto inferiori rispetto all'efficacia dei proiettili sparati dalle sue pistole, e poi assecondammo la folla che veniva a chiederci sostegno.

Io, lordo di sangue, non potevo uscire subito: mentre gli altri andavano in Chiesa, pulii i miei abiti da Templare.

Fu una buona idea: meno di dieci minuti dopo li dovevo indossare nuovamente, attratto dalle urla inferocite che udivo venire dalla Chiesa, alla quale mi avviai zoppicando (a causa della scarsa efficacia delle cure del nostro sedicente medico) e pregando che Dio illuminasse i cuori di quella gente nel rispetto del mio Sacro Abito.

Alla Chiesa, la folla era in tumulto, ma fortunatamente sembrò calmarsi alla mia vista, e non pochi si genuflessero in segno di rispetto. Solo in seguito ricostruii quanto stava accadendo: i miei compagni cercavano di nascondere la strage, e Fratello Celestino aveva rischiato di far precipitare la situazione spezzando l'osso del collo a Donna Carmela, la quale stava iniziando a inveire contro i nostri gesti. Vent-otto cercava invano di calmare la folla, ma, come unico risultato, era già stato colpito da diversi oggetti.

Improvvisamente, fui illuminato: la Cappa dell'Inganno, opera del Demonio che il Cristiano deve utilizzare con grande attenzione, si stava dissolvendo nell'animo di quella gente. Essi erano pronti ad accogliere la Luce della Verità, ed era nostro compito mostrarla. Tuonai anatemi verso le aberrazioni che si erano svolte in quel paese, e come prova condussi nelle catacombe della Chiesa. Essi riconobbero i loro cari nelle membra dell'angelo, e capirono di essere stati ingannati. Anche Don Ferrino e il povero Vito erano diventati parte dell'aberrazione.

Io potei chiaramente leggere il pentimento sui loro volti: tutta la cittadinanza passò con noi una notte di preghiera in remissione di quanto era stato fatto (escluso Vent-otto, che preferì un sonno ristoratore, quasi si credesse esente dai peccati che abbruttiscono tutti gli uomini).

Ma qualcosa ci era sfuggito in quella lunga notte: la lunga mauns dell'Inquisizione era ben radicata nel paese. Qualcuno minacciò Fratello Joaquin con uno stiletto, senza che egli lo potesse riconoscere, imponendogli di rivelargli quale fosse stata la sorte del magico volume. Del resto, come ci fu rivelato in seguito da Fratello Joaquin stesso, don Gualdo portava un ciondolo dell'Inquisizione.

Forse se l'avessimo saputo avremmo potuto prevenire il disastro incombente, ma nessuno si aspettava un'azione così rapida: noi stessi non avevamo forse dovuto viaggiare per giorni per giungere ad un villaggio così lontano da Napoli?

Eppure, già il mattino seguente bussava alla porta forse il più spietato degli Inquisitori, Claudio Maria Tandrelli detto Fra Ruina, accompagnato da una ventina di quei “convertiti” che, condannati a morte per i peggiori crimini, giurano fedeltà ad un Inquisitore in cambio della vita. Con parole melliflue si complimentò con noi per il risultato ottenuto, esautorandoci di fatto e obbligandoci a lasciare il paese immediatamente. Dalle sue parole risultò chiaro che sapeva del libro blasfemo e che avrebbe voluto che glie lo consegnassimo, ma non poteva chiederlo direttamente data la parte che stava recitando.

Partimmo, convinti di aver lasciato i paesani nelle mani sbagliate. Purtroppo, non c'ingannavamo: il Maestro di Napoli, quando gli riferimmo l'esito della nostra missione, ci rivelò che l'Inquisitore aveva massacrato tutti gli abitanti di Monte Croce.

E' sempre un'amara constatazione, per un Templare, sapere che ci sono problemi che nemmeno il suo expiator può risolvere, almeno nell'immediato. Ma la partita con i corrotti della Santa Inquisizione era appena iniziata, e del resto anche fra gli Inquisitori esistono uomini pii e devoti. Fra costoro, a giudizio del nostro saggio Maestro di Napoli, si annoverava l'Inquisitore di Firenze, frate Ardizzone, presso il quale ci pregò di recarci, perché aveva richiesto l'intervento di uomini validi e fidati.

Appena procuratoci del materiale utile alla nostra causa, con il cuore grondante per la sorte degli abitanti di Monte Croce ci siamo subito diretti in viaggio verso nord, con una sola certezza a confortarci: essi avevano avuto modo di pentirsi e di chiedere perdono al Signore nella veglia di preghiera, ed Egli li avrebbe accolti nel Suo regno. Difficilmente sarebbe accaduto lo stesso per l'Inquisitore Fra Ruina, perché, almeno alle nostre deboli menti umane, era difficile prevedere che si ravvedesse.

3 commenti:

  1. Allora!!! il tuo BG è già pronto e a suo tempo già ti narrai la tua vita, presto lo avrai in versione cartacea!!!
    p.s. bel post complimenti

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  2. Ah ah quell'inciso non era da pubblicare, ma è più divertente così.
    Non ricordo più molto, ma tanto UN TEMPLARE HA CHIUSO CON IL SUO PASSATO :P

    PS: grazie

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  3. Mi piace lo stile vagamente arcaico con cui vengono redatti i post.

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