Fiero e imperioso, l'italico vessillo sventola oramai sulla
più alta torre della fortezza di Malta, che si credeva sicura per le mura, ma
che nulla ha potuto contro il vigore di militi votati alla Patria! La canaglia
anglo-non morta è stata punita dal sacro e italico manganello!
Io, fratello Ruggiero e fratello Raffaello ci troviamo nei
letti di un improvvisato ospedale da campo per lenire le ferite riportate in
battaglia, invero più per la codardia degli amici che per la forza dei nemici:
sempre, il pericolo maggiore si annida dove non lo sappiamo vedere. Ma poco
conta: la fortezza è nostra, presto ci rimetteremo e il nostro braccio tornerà
forte e vigoroso al servizio della patria, e in particolare urge prendere il
controllo di tutta l'isola, anche se il più sembra fatto: alcuni esploratori
hanno riferito, comunque, che esistono ancora comunità di vivi che saranno
certo fieri di diventare Italiani (o Figli del Signore, come sbraita Novella).
Bisogna però essere sinceri: la rocca era ben costruita, e
prenderla non sarebbe stato facile, anche se nel frattempo erano sbarcati, sul
territorio reso sicuro, quasi tutti i fratelli militi, e anche il Reggente.
Anche così, non avremmo vinto se non a prezzo di molte, troppe vite di
italiani, se non avessi avuto una felice ispirazione, e se non avessi avuto con
me commilitoni valorosi. Io sapevo che esisteva un cunicolo segreto che,
dalle rocce alla base della fortezza, portava alle sue cantine: un antico
cunicolo di fuga, oramai dimenticato. Non so come potessi sapere della sua
esistenza, semplicemente lo sapevo. Inventai di averlo trovato su antiche
carte, per essere credibile di fronte al Reggente, ma in realtà la certezza non
si sosteneva sul nulla.
Ci muovemmo con il favore delle tenebre. Di fatto, il
cunicolo c'era, e lo trovammo proprio dove avevo immaginato. Eravamo io,
fratello Ruggiero, fratello Raffello e fratello Giocondo: pochi coraggiosi per
una sortita, con il compito di aprire il ponte levatoio all'invasione dei
commilitoni.
Il budello, parte naturale, parte artificiale, conduceva,
tramite una porta segreta troppo mal celata per l'italico genio, alle cantine,
dalle quali, coperti da un fitto fuoco di copertura dall'esterno (più che altro
per creare confusione: la nostra artiglieria non era tale da nuocere alla
fortezza) giungemmo ad un'ampia stanza adattata a dormitorio, dove si trovavano
quattro inetti inglesi, agitati per il cannoneggiamento. Vili.
Sapevamo che i figli d'Albione sono dei codardi: se li
avessimo attaccati in corpo a corpo, sarebbero fuggiti a dare l'allarme invece
di battersi da uomini, così decidemmo di eliminarli con una granata. Se ne
incaricò il nostro “esperto” di esplosivi, fratello Giocondo, che fece cadere
la bomba attraverso la grata. Disgraziatamente, nella fretta, si dimenticò di
innescare l'arma. Ci venne in aiuto l'anglica stoltezza: evidentemente, il
soldato che vide l'oggetto per terra non conosceva il modello, esclusivo del
Sanctum Imperium, non lo riconobbe come una bomba, lo innescò inavvertitamente.
Morirono tutti, così dilaniati che non fu nemmeno necessario farli a pezzi.
Restammo un istante in ascolto: l'esplosione era stata
scambiata, da fuori, per un colpo di artiglieria, così potemmo sgusciare fuori.
Subito, l'obiettivo ci fu chiaro: con un colpo preciso di granata si poteva
distruggere il meccanismo che teneva sollevato il ponte, ma c'era un problema,
anzi due: due, come i Bren sulla torre davanti al ponte, che avrebbero
falcidiato gli aggressori. Andavano eliminati, e ce ne occupammo io e fratello
Raffaello: dissimulandoci fra le ombre, arrivammo sul luogo, piombammo sugli
inglesi, e stavamo ancora finendo di affettarli quando fratello Giocondo pensò
di riscattare il goffo lancio di bomba precedente con un tiro a dir poco
spettacolare: gli anni di esercitazioni erano serviti, alla fine! L'esplosione
non solo distrusse il meccanismo del ponte levatoio, facendolo cadere, ma
bloccò anche la grata: la porta della fortezza era spalancata, gli Ospitalieri
invasero la rocca.
Avevamo, però, ancora un conto in sospeso: quello con il
famigerato Colonnello inglese. L'avevo già visto bene, quella mattina,
dall'alto della piccola rocca, intento ad osservare le navi che arrivano da
quella che, ancora, era la fortezza anglo-non morta, e a coordinare un vano
cannoneggiamento. Mi aveva guardato, come se avesse percepito il mio occhio, e
improvvisamente avevo avvertito un pericolo: uno dei nostri, un Ospitaliere, mi
stava attaccando! Lo evitai, e l'uomo fu immobilizzato. Che essere era colui
che, a centinaia di metri di distanza, riusciva ad insidiare un cuore italico?
Ce lo trovammo di fronte nel mastio, nel cuore della
fortezza, il volto in parte putrefatto contratto in un ghigno demoniaco: di certo il Colonnello apparteneva a quella
schietta di Morti che nel Sine Requie sono definiti Diabolici( se ti
sentisse il Novella, ndr). Devo ammettere che, nonostante il sacro fuoco che
alberga nei nostri cuori impavidi, nel vederlo un rapido brivido ci corse per
la schiena. Fu un attimo, poi ignorando le sue altisonanti minacce ci
disponemmo ad attaccarlo. Eravamo di nuovo solo noi, noi del manipolo che era
penetrato attraverso il passaggio segreto. I suoi nemici peggiori, alla resa
dei conti. Lui, del resto, era morto, diabolico e inglese: si può immaginare
una feccia peggiore? Eliminarlo era un dovere non solo di fronte alla Patria,
ma davanti all'umanità intera.
Di nuovo, il suo primo attacco fu mentale, e colse
probabilmente l'elemento più debole ( a livello mentale ovviamente, ndr), ossia
fratello Giocondo, il quale subito si avventò contro di me brandendo la sua
minacciosa mazza. Io non potei che
difendermi, mentre fratello Ruggiero e fratello Raffaello si gettavano
direttamente contro il morto.
La lotta fra me e Giocondo era in stallo, egli mi attaccava
con violenza, senza riuscire tuttavia a ferirmi, mentre io mi difendevo senza
volergli nuocere (mah, vedo una sottile distorsione della realtà, ndr),
sperando che ritrovasse il senno. Ma i miei compagni, oh, loro menavano
fendenti degni di entrare nella leggenda! Colpi che avrebbero fatto stramazzare
un bue parevano appena essere avvertiti da quell'essere demoniaco, che a sua
volta vibrava fortissimi colpi con la sua sciabola. Un fendente di Ruggiero lo
menomò di un braccio, ma egli rispose con un nuovo attacco magico: uno sguardo,
e Ruggiero ardeva, costretto a gettare via l'armatura, ed era costretto a
strapparsela di dosso, ferito.
Quando tutto sembrava volgere al peggio, a Raffaello riuscì
un attacco invero notevolissimo: la sua lama recise di netto la testa del
morto, che non per questo cessò di lottare, ma quanto meno era indebolito e
perse per un momento il contatto con il suo succube Giocondo.
Cosa successe allora nella sua mente? Cosa pensò Giocondo?
Sul momento, io ero convinto che avesse recuperato le
facoltà mentali, e infatti si avventò sulla testa mozza del Colonnello e la
fece a pezzi con un preciso colpo di mazza, sicché corsi a dare man forte a
Raffaello, spada in pugno, nel corpo a corpo finale.
Oramai tutto volgeva a nostro favore, ma non avevamo
considerato un elemento: la follia, che in ogni momento può cogliere gli
uomini.
Cosa mai passò per la mente di fratello Giocondo?
Forse la sua mente era ancora sconvolta dal controllo
esercitato su di lui dal demoniaco Colonnello, e ora vedeva tutti, sia il
mostro, sia noi come suoi nemici?
Forse voleva eliminare insieme lui e noi, in modo da
assumersi pienamente e da solo la gloria dell'impresa?
Forse è un vile, che non esita a mettere a rischio la vita
dei compagni per salvare la propria?
Forse, semplicemente, si tratta di uno psicopatico incapace
di vedere le conseguenze delle sue azioni?
Negli ultimi tre casi, dovremo valutare cautamente se sia
opportuno tenerlo fra di noi, a rischio di trovare in ogni momento un pericolo
fra le nostre stesse fila.
Ad ogni conto, pensò bene di gettare una bomba incendiaria
sul Colonnello impegnato in corpo a corpo con noi. La deflagrazione fu
tremenda, il mostro ne ebbe danni tali da essere ridotto a risultare del tutto
inoffensivo, ma noi non eravamo in condizioni molto migliori: Ruggiero, già ferito
in modo abbastanza grave ma che per fortuna si trovava un po' discosto, cadde a
terra ustionato e privo di sensi, forse in coma, io e Raffaello fummo ancora in
grado di trascinarci fuori, sulle nostre gambe, a cercare aiuto, mentre
l'infame Giocondo esultava per la sua bella impresa.
Impresa di cui io e gli altri porteremo per sempre il
ricordo, sotto forma di cicatrici indelebili sulle nostre carni.
Geniale e spassoso grande Jacopo!
RispondiEliminaE grazie per la citazione il mio petto ora è gonfio d'italico orgoglio!
In effetti avrei dovuto mettere la nota a piè di pagina con la fonte (tipo 1: da Mr. Mist, Commento, 10 marzo 2012), ma per i lettori del blog era autoevidente!
RispondiEliminaAh ah mi hai veramente ispirato!
Il ghigno proprio non ha feeling con le granate.
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