giovedì 28 novembre 2013

Il comandante Kartoffen



In quel mentre, sentimmo bussare alla porta. Joe, spostò il mobile, ripose la sedia, rimosse il capello, aprì la porta: era Lisa. La fanciulla entrò, poi Joe incollò un capello fra stipite e porta, appoggiò la sedia, spostò il mobiletto. Lisa veniva a salutarci: non sentendosi accettata, aveva deciso di restare lì ancora per qualche giorno, per poi spostarsi autonomamente in Francia, quando oramai noi saremmo già stati sul transatlantico, in viaggio verso casa. Ci salutò con calore (salvo Joe e Kartoffen, che fu del tutto ignorato). Accolse anche la mia gentile offerta di essere confessata, sicché io ora so chi fra lei e Joe aveva mosso le avances, ma non posso rivelarlo perché è coperto da segreto professionale (o confessionale che dir si voglia). Certo, era la spiegazione che qualsiasi essere di buon senso avrebbe dovuto raggiungere da sé.
Lisa non passò nemmeno la notte con noi. Joe spostò il mobile, ripose la sedia, rimosse il capello, fece uscire Lisa, poi incollò un capello fra stipite e porta, appoggiò la sedia, spostò il mobiletto.

Dormimmo un paio d'ore, e la mattina ripartimmo, con la sola Jeep, verso Brighton, dove si diceva fossero rimaste molte delle barche in disarmo dai tempi della guerra. Vi arrivammo senza intoppi, e  non faticammo molto a trovare un peschereccio in condizioni non troppo disastrose, in grado di prendere il mare con pochi accorgimenti. Eravamo quasi pronti quando il Pagano cominciò a mostrare segni di inquietudine, e in effetti, poco dopo, comparve in fondo alla strada la figura funesta di Skinner, il morto forse diabolicus che avevamo visto a capo di una schiera di morti intento a saccheggiare città! Il varo del nostro peschereccio fu eseguito a rapidità da record, ed eravamo già in mare quando Skinner giunse al molo, e ci guardò sibilando che ci saremmo rivisti. Era comunque chiaro che, se avesse voluto, avrebbe potuto prenderci.

La notte ed il viaggio procedettero quasi tranquilli, salvo un paio di aspetti inquietanti. A metà notte, passò non lontano da noi una figura immensa, che non faticammo a riconoscere con un sommergibile tedesco. Per fortuna ci ignorò, ma non era consolante pensare che ci saremmo imbarcati su un transatlantico statunitense con sommergibili tedeschi in giro. L'aspetto più pericoloso era, però, la presenza di Kartoffen a bordo.
Dormimmo, ma il risveglio la mattina non fu piacevole: una tremenda esplosione distrusse la barca. Solo io, grazie alla protezione del Signore, e il Pagano, grazie alla buona sorte, raggiungemmo indenni la riva non lontana, mentre gli altri persero gran parte dell'equipaggiamento in mare. Tutti, però, sopravvivemmo: che era successo? Eravamo stati attaccati?
No. Semplicemente, Kartoffen, all'ultimo turno, aveva pensato che avremmo gradito una colazione di pesce e aveva gettato le reti nelle minatissime acque davanti al porto di Le Havre. Aveva pescato una bomba.


domenica 24 novembre 2013

Pignolerie



Un'altra notte insonne. E non dico insonne per osannare il Signore, come sarebbe pure giusto e comprensibile, ma per discutere fra umani: nemmeno la consapevolezza di trovarsi fra mura amiche ci poté regalare il riposo dei giusti – forse perché alcuni fra noi giusti non sono.
Quando ci fu assegnata una camerata tutta per noi, con i due custodi di Kartoffen davanti alla porta, io avevo sperato nel riposo, ma non tutti condividevano la mia stessa fiducia. Gli iniqui temono l'iniquità.
Joe approntò un ragguardevole dispositivo di sicurezza (o meglio di paranoia): incollò un capello fra stipite e porta per verificare che nessuno l'aprisse e richiudesse a sua insaputa, appoggiò una sedia al legno della porta per essere svegliato dal rumore di chi fosse entrato e un mobile per rendere più difficoltosa l'apertura. Non appena ebbe finito, Kartoffen gli chiese di parlare con lui in privato.
Joe spostò il mobile, ripose la sedia, rimosse il capello e uscì con il crucco. Noi eravamo alquanto irritati da un simile contegno di segretezza, anche perché la nostra fiducia era oramai limitata. Dopo molti minuti rientrarono: Joe incollò un capello fra stipite e porta, appoggiò la sedia, spostò il mobiletto. Allora il Capitano pretese quanto avevamo concordato: che Joe e Kartoffen ci raccontassero separatamente cosa si erano detti. Per primo volemmo sentire Joe, che così  spostò il mobile, ripose la sedia, rimosse il capello, fece uscire Kartoffen (e su richiesta di questi anche Lisa) e poi incollò un capello fra stipite e porta, appoggiò la sedia, spostò il mobiletto.
Ci raccontò che Kartoffen gli aveva chiesto appoggio, rivelando che aveva grandi ricchezze in oro nascoste in Francia, con le quali avrebbe potuto pagarci il biglietto verso gli Stati Uniti; avevano poi parlato dei morti; infine, gli aveva chiesto del litigio con Lisa, e lui gli aveva risposto che lei gli aveva fatto delle avances, ma lui aveva rifiutato.
Nessuno di noi prestava veramente fiducia a quanto diceva; specialmente il rifiuto alle avances di Lisa (la cui immagine femminile era bene impressa nella mente di ciascuno) pareva davvero inverosimile, salvo le ipotesi di omosessualità. Io non potei fare a meno di rimarcare come questo fosse peccato. Joe provò a discolparsi alludendo ad una probabile difficoltà nell'igiene intima, ma nessuno gli diede veramente credito. Joe ci nascondeva qualcosa.
Il Capitano, invece, confermò la questione delle ricchezze nascoste: lui stesso ne era a conoscenza da tempo, da quando aveva accolto fra noi il crucco, e da tempo sapeva anche la sua vera identità, ma asserì di aver tenuto tutto nascosto per tenere coeso il gruppo e perché contava di poter usare gli ori del nazista.
Facemmo entrare Kartoffen.
Joe spostò il mobile, ripose la sedia, rimosse il capello, fece entrare Kartoffen e poi incollò un capello fra stipite e porta, appoggiò la sedia, spostò il mobile. Lo mettemmo spalle al muro perché non potesse comunicare con il suo sospetto interlocutore. La versione di Kartoffen fu considerevolmente diversa: certo, ammise di aver parlato di morti, ma questo era il meno. Tanto per cominciare, secondo lui era stato Joe a provarci con Lisa, e non viceversa (e qui la versione pareva più affidabile), in secondo luogo non citò le ricchezze. Solo al confronto bofonchiò che chi si era fatto avanti, fra Joe e Lisa, era un particolare irrilevante, e dovette ammettere la questione del suo tesoro, assicurandoci però che l'avrebbe diviso con noi, e che anzi era sua intenzione sin dall'inizio.
Decidemmo di tenerli fra noi, ma chiedemmo se qualcuno avesse qualcosa da nascondere.
Il Pagano sostenne di avere talora delle sensazioni su fatti che avrebbero avuto conseguenze nefaste, ma non disse nulla circa l'essere a volte posseduto dal Demonio.
Io, per conto mio, dissi che avevo ricevuto il  sacerdozio da un'Autorità ben più alta di quella ecclesiastica. Qui devo dire che ricevetti accuse infamanti.
Kartoffen, alle mie critiche e alla mia ipotesi che il Giudizio fosse arrivato, mi accusò di non sapere nulla della morte e della vita oltre la morte. Lui, lui che non aveva nemmeno letto l'intera Bibbia! Fremetti d'indignazione, e gli promisi di leggergli tutte le Sacre Scritture. Non osò ribattere, sconvolto da tanta Verità.

mercoledì 20 novembre 2013

La Dottoressa (Papessa) alle grandi manovre...



Quasi appena arrivati, avemmo l'onore di conoscere la dottoressa Diana Selftidge: una donna sui quarant'anni decisamente avvenente, che stava conducendo studi sui morti. Ma i primi scambi di vedute non furono sui morti, bensì su Kartoffen. La reazione dei più autorevoli dei nostri ospiti, nel vederlo, fu simile a quella che aveva avuto Liza: estrema durezza. Anche loro avevano non solo intuito che non era chi diceva di essere, ma anche riconosciuto la sua vera identità. Kartoffen provò a tergiversare, ma niente meno che Otto Skorzery, uno dei più noti ufficiali delle SS, la mente dietro la liberazione di Mussolini, colui che quasi era riuscito ad effettuare un attentato ai danni di Churchill, Stalin e Truman a Teheran! Sapevamo che ci nascondeva qualcosa, ma non immaginavamo tanto!
I nostri ospiti incalzarono il traditore tedesco con domande: in particolare, non riuscivano a capire cosa lo avesse spinto a lasciare la Germania, visto che là avrebbe potuto avere una posizione di grande prestigio. Kartoffen rispondeva, semplicemente, che non voleva servire i morti. Strano, visto che, come ci fu rivelato, aveva guidato il team nazista che aveva compiuto le prime sperimentazioni genetiche sui morti condotte dal Reich per creare mostruosi esseri al suo servizio, compresa una serie di cloni supersoldati (uno dei quali era il vecchio pazzo che aveva scoperto al castello).
Io pensai che era certo un uomo malvagio, ma se il Signore l'aveva posto sulla nostra strada, era senza dubbio per un motivo valido. Voleva che io lo redimessi? Era possibile. Inoltre, forse voleva che le conoscenze dei tedeschi fossero rese note, tramite lui, a questi inglesi che stavano cercando una cura per l'epidemia. Così, con il consenso del Comandante e degli altri membri del gruppo, ottenemmo che la vita di Otto Kartoffen fosse risparmiata: avrebbe rivelato le sue conoscenze sui morti, e noi lo avremmo portato via con noi.
Comunque, gli furono assegnate due guardie, con il compito di non perderlo di vista durante tutta la sua permanenza del centro – le armi, del resto, ci erano già state requisite all'ingresso, secondo una consolidata prassi di sicurezza resa necessaria dopo che degli appartenenti ad un gruppo nemico (blasfemo come gli uomini continuino a volersi del male anche in una situazione di comune disgrazia e in spregio agli insegnamenti del Cristo!) si erano introdotti nella fortezza fingendosi bisognosi d'aiuto, arrecandovi numerosi danni.
La sera e la notte procedettero senza particolari intoppi. A cena, Kartoffen cominciò a discutere con la dottoressa (ma presto fu raggiunto da me e dal pagano, che non volevamo perderci informazioni sui morti), la quale era isolata e malvista dopo che la cattura dei due morti che stava analizzando era costata la vita a otto degli abitanti della fortezza. Il Capitano, invece, fece conoscenza con due americani come noi, che però oramai si sentivano di casa a Londra. Alla sera, Liza volle che vicino a lei non si sdraiasse Joe, ma qualcun altro: il Pagano fu lesto a cogliere l'invito.

La mattina seguente fummo introdotti nel laboratorio, dove due morti erano legati: una donna orrenda e sbavante, senza un braccio, legata al muro da quattro catene che cercava di staccare invano, e un altro crocefisso alla parete. Erano i soggetti degli studi della dottoressa, sino ad allora vani. Ma c'era qualcuno più eccezionale di loro: il dottor Pelegatti, il celeberrimo autore del Sine Requie! Egli aveva incontrato un gran numero di morti, compreso un Diabolicus in Spagna, che lo aveva contattato perché era stato raggiunto dalla sua fama. Chiedemmo ed ottenemmo di assistere all'incontro fra tre dei massimi conoscitori dei morti: il dottor Pelegatti (massimo esperto del Sanctum Imperium, dal quale era stato tuttavia esiliato perché il Papa – ecco l'antico oscurantismo cattolico! - aveva decretato che tutti i morti fossero uguali e non senzienti); Otto Kartoffen (depositario di molte conoscenze del Reich); la dottoressa Diana Selftidge (forse la miglior studiosa delle Terre Perdute).
Non avevamo che da apprendere, e forse l'umanità avrebbe avuto grandi vantaggi da questo incontro.

sabato 16 novembre 2013

Visita ai Four Ravens



Il viaggio alla volta di quel che resta di Londra, lasciato il castello dei sopravvissuti “appesantiti” di qualche utilissimo litro di carburante, procedette sotto la benevolenza del Signore, che non frappose ulteriori malignità da debellare.
Solo quando le rovine delle case si fecero più fitte, il Capitano ordinò maggiore prudenza, e rallentammo il procedere degli automezzi. Del resto, le strade erano sempre più sconnesse e ingombre di ostacoli, parte di quella natura che è facile attribuire alla semplice incuria, parte che (non poteva sfuggire all'occhio attento di un gruppo di veterani) erano stati senza dubbio posti ad arte, in modo da rallentare la corsa di visitatori indesiderati. Tutto, dunque, lasciava supporre che la zona fosse presidiata da umani, nella migliore delle ipotesi, da morti senzienti nella peggiore. Purtroppo, non c'era altra via verso la nostra meta.
Ad un certo punto, trovammo addirittura un carro armato, uno Sherman visibilmente in disuso – aveva perfino un cingolo staccato – che però volemmo egualmente ispezionare. Il Capitano mandò avanti il nostro carrista di fiducia, il disertore Kartoffen. Circostanza singolare per qualcuno che asseriva di essere stato un carrista, la sua stazza gli permetteva a stento di inserire la testa nella carlinga: di far passare le spalle non c'era modo. In effetti, era evidente che non avremmo trovato nulla, ma il Capitano aveva ordinato la missione per rendere chiaro che nessuno, oramai, credeva che Kartoffen fosse veramente chi asseriva di essere.

Procedemmo ancora un poco e, come previsto, ci trovammo circondati da un gruppo di militari con divisa inglese. Non sembravano avere cattive intenzione, così deponemmo le armi di buon grado. Solo in quel momento ci rendemmo conto che Joe e Liza erano spariti. Il Capitano chiese ed ottenne di cercarli, prima di raggiungere me e Kartoffen al rifugio dei sopravvissuti che avevamo incontrato. Arrivarono al centro poco dopo di noi, con Joe e Liza fra i quali doveva essere accaduto qualcosa di spiacevole, perché i cinguettii dei giorni precedenti avevano lasciato il luogo a musi lunghi. I più maliziosi ipotizzarono che lei avesse avuto una spiacevole sorpresa nel momento in cui si era trovata sola con lui, ma le spiegazioni plausibili erano molte.
Il centro nel quale ci trovavamo, che ospitava un centinaio di sopravvissuti, era una vera e propria fortezza, mirabilmente organizzata e splendidamente difendibile, al cui interno si trovavano orti, piccoli allevamenti, un refettorio, cucine, camerate...e laboratori.
Già, laboratori.

mercoledì 13 novembre 2013

Informazione di servizio

Ragazzi se non vi basta Dies Irae da poco è consultabile il blog dell'altra campagna a Sien Requie che stiamo giocando in Gilda del Grifone... eccovi il link



SINE RUSSIA

ciao

martedì 5 novembre 2013

Il segreto nelle segrete...



La scena che trovammo nelle segrete era orribile: le pareti erano tappezzate di simboli nazisti, per terra era tracciato con il gesso un simbolo esoterico al cui centro era legato il cadavere della prima bambina scomparsa nel castello, smembrata e ricucita con il filo di ferro. In quella sorta di tempio pagano erano presenti anche tre libri, probabilmente blasfemi anche se non ne intendevo il significato. Uno, in particolare, aveva pagine alternativamente bianche e nere: Kartoffen cominciò a trafficarvi, poi di colpo impietrì. Non so perché, ma il Pagano cominciò a vibrare di rabbia, quasi come quando aveva attaccato l’Atrox, ma si trattenne a stento dallo scannare il compare tedesco. Il Capitano fu pronto a strappare il libro dalle mani di Kartoffen, il quale poco dopo si riprese dalla trance, dichiarando di conoscere il colpevole di tutto.
A suo avviso si trattava del vecchio pazzo con il quale aveva conversato nel pomeriggio: la prova di quanto diceva avrebbe dovuto essere un numero tatuato sul petto del vecchio (cosa ciò provasse mi è ad oggi ignoto). Le guardie della comunità che ci avevano seguito non lo credevano, reputandolo un pazzo innocuo, ma accettarono di porgli qualche domanda: salimmo dunque ai dormitori, mentre il solo Joe restava a presidiare il sotterraneo.
Arrivammo al dormitorio ed il pazzo era lì, mentre nessuno mostrò di essersi accorto di una sua possibile precedente assenza. Alle prime domande di Kartoffen, il tizio ebbe una risposta inattesa: dichiarò “Io so chi sei tu”, e si dispiegò in tutta la sua altezza, che era davvero ragguardevole: ora non sembrava che un lontano parente del pazzo raggrinzito che avevamo visto in cortile. Gridò ancora di sapere chi fosse Kartoffen (avrebbe pure potuto avere il garbo di rivelarlo anche a noi) e provò a darsi alla macchia, ma non prima di aver sganciato una bomba a mano nel dormitorio. Per fortuna Kartoffen e il Pagano furono lesti, il primo a gettare l'ordigno fuori dalla finestra, il secondo a colpire con un preciso lancio di tomahawk la gamba del pazzo, il quale, ferito, rovinò giù da una finestra, verso l'esterno del castello.
Non speravamo per nulla che la caduta potesse averlo ucciso, così uscimmo alla sua ricerca: quando arrivammo sul posto, però, trovammo solo alcune tracce di sangue, che portavano verso il muro di cinta, finendo ad un certo punto come d'incanto. Era un altro passaggio segreto! Non era stato ben richiuso, ma mentre lo percorrevamo sentimmo una raffica di colpi, sventagliate di mitragliatrice: quando sbucammo nella segreta adattata a tempio, trovammo Joe che infieriva su quello che aveva tutti i requisiti per sembrare il pazzo, pur essendo oramai irriconoscibile. Joe sosteneva che prima gli avesse offerto ricompense in cambio di aiuto e alleanza, poi l'avesse minacciato. Disarmato, non aveva speranze contro Joe, benché si mostrasse convinto di poterlo sconfiggere. Invece, ora era ridotto ad un ammasso informe di carne.

Il mattino dopo, ottenuti cinque litri di benzina quali ringraziamento per il nostro intervento, ripartimmo. Anche se fu solo grazie ad un colpo di fortuna che non saltammo tutti in aria: nel girare la chiave, Kartoffen la ruppe, e così notò che qualcuno aveva messo dell'esplosivo al plastico collegato con l'accensione.
Joe ipotizzò che qualcuno potesse avere messo l'esplosivo mentre lui era intento ad inseguire il bimbo, ossia nell'unico momento in cui non sorvegliava la Jeep. A dire il vero, il nostro misterioso avversario avrebbe potuto agire anche mentre tutti inseguivano “fantasmi” o ispezionavano segrete. Joe stesso aveva controllato (da solo) la Jeep per la maggior parte del tempo, non sempre. E comunque lui si spostava in moto, non in Jeep, insieme alla bella Lisa.