mercoledì 30 novembre 2011

Beati i deboli, perchè di essi è il regno dei cieli

Se un peccato ha effetti positivi, sostengono i peccatori, è pertanto da considerarsi scusato, e perfino positivo esso stesso. L'oziosità di tale ragionamento, formulato da chi anela soggiacere ai più bassi istinti e ne cerca giustificazioni, è evidente: esiste sempre una via santa e pura per il bene. E se così i peccatori possono sperare di ingannare gli uomini, il Giudizio Divino non può essere aggirato. Questo fu evidente anche dalla storia che occorse ad Adolf e alla strega.

Svegliati nella notte, ci trovammo dunque di fronte ad uno spettacolo agghiacciante: Celestino in terra, la strega nel suo carro, con uno sguardo da brividi. Io mi precipitai a soccorrere Celestino, pronto a confortarlo e aiutarlo nel risveglio, consegnargli gli estremi sacramenti o dilaniarlo a brani, a seconda della sua condizione. Per fortuna, mi resi subito conto che era solo momentaneamente sotto shock, ma non in pericolo di vita.

Il resto, accadde rapidamente: la strega aprì di schianto la porta, colpendo fra Claudio, che le si era avvicinato, poi estrasse un coltello con il quale ferì Maurizio, e fuggì nella nebbia. Gioacchino le sparò, riuscendo a colpirla ma in modo lieve, giacché ella continuò la sua corsa, mentre un coltello lanciato da Adolf la colpì solo con il manico.

Nonostante le nebbie e le mie ridotte capacità visive, causate dall'essere provvisto di un solo occhio, mi gettai all'inseguimento della donna, e con me venne Adolf, covando nell'animo propositi ben diversi.

Non fu facile raggiungerla: ella si era rifugiata in un sistema di grotte carsiche assai intricato, tanto che dovemmo dividerci per cercarla meglio. Nell'impeto del momento, ingenuamente non pensai che dare ad Adolf la possibilità di incontrare da solo una donna non era una mossa saggia, né badai al fatto che Adolf aveva un coltello in meno, e la strega uno in più... quando, pochi (e sottolineo pochi) minuti dopo li incontrai, i due peccatori erano assieme, ignudi, dopo aver giaciuto assieme.

Pazzi! Adolf era oramai completamente dominato dalla donna, la quale farneticava di essere stata aiutata dal nostro compagno di viaggio, che togliendole la verginità l'aveva resa inadatta al rito che, a suo dire, avrebbe dovuto averla come oggetto.

Stavamo alterecando, quando udimmo un rumore di expiator: accorremmo, era quello di Celstino. Quando lo trovammo, dinnanzi a lui c'era Fra Claudio ridotto a brandelli. Celestino sembrava sconvolto, assicurava di avere avuto l'impressione di essere attaccato da un morto dei più feroci, che si era rivelato essere Fra Claudio (ancora vivo) solo dopo essere stato colpito a morte. Evidentemente il luogo era denso di influenze maligne, nonostante un altare consacrato che trovammo (e dal quale raccolsi una scheggia di legno che mi pareva emanare un'energia benefica: forse era una scheggia della Vera Croce?).

Dopo alcuni scontri verbali (e per poco non trascesero), in cui la complicità di Adolf con la strega e il suo essere succube della donna risultò evidente, decidemmo di riportare la strega al carro e di lì al monastero di Crea, dove però saremmo stati bene in guardia, nel caso che ciò che la fattucchiera andava affermando, cioè che fosse un covo di una setta blasfema, corrispondesse a verità. Nel caso, Celestino (per cui si preparava, a dire della pretesa veggente, un grande destino) era indicato dalla donna come capace di vincere questa blasfemia.

Per scrupolo, comunque, legammo la donna e la tenemmo lontana da Adolf.

Giungemmo al monastero a sera, e subito ci accorgemmo che i pretesi frati avevano qualcosa di strano, benché io non sapessi definire cosa; Gioacchino, però, vide che avevano tatuato sul polso un serpente. Del resto, malcelata dietro una formale gentilezza, essi diedero mostra di volerci allontanare già per la notte stessa, e solo dietro le nostre insistenze ci accolsero in foresteria. Ad ascoltare l'abate, sarebbe giunto qualcuno dalla città per il processo dopo la purificazione, ma ciò non aveva senso, e noi eravamo convinti che qualcosa sarebbe accaduto nella notte stessa: forse, il rito.

Stavamo preparando un piano d'azione, quando sentimmo un grido alto provenire dalla Chiesa: «Tradimento! Non è vergine!»

Non ci restava che improvvisare. Con le armi in pugno, ci dirigemmo all'uscita della Chiesa, appena in tempo per vedere aprire le porte e vomitarne i frati armati. Fu una strage: Liberanosamalo e Nuntius Gaudii cantarono dilaniando carni, i proiettili di Giacchino e Adolf furono impietosi. In pochi attimi, avevamo sterminato i blasfemi seguaci dell'eresia, perché il Signore combatte con i giusti.

Dentro, si annidavano ancora il finto abate e tre seguaci, armati con fucili e pistole. Il loro capo aveva preso in ostaggio la strega, e minacciava di ucciderla se ci fossimo fatti avanti. Io, però, decisi che, benché fosse una peccatrice, non lo era al punto da meritare di essere uccisa senza un giusto processo che – oramai mi era evidente – non era mai avvenuto. Così, presi tempo, e con la mia pistola piazzai un colpo preciso nella testa del finto abate, che stramazzò morto senza poter nuocere alla donna.

Ma Dio non vuole che i peccati rimangano inulti, non permette la gioia delle meretrici e dei loro sodali. Così, fu la stessa mano di Adolf ad essere strumento di quello che, a conti fatti, non può che essere un giudizio divino. Anch'egli volle tirare al finto abate, ma lo fece in modo goffo, così goffo da colpire al collo la sua amata, condannandola a morte.

Grande fu il dolore dello scellerato. Grande e tardivo, perché la punizione del Signore cala su tutti i peccatori, e ancora più feroce su chi prova a farsi beffe di Lui. Adolf aveva messo a repentaglio la nostra vita per le sue voglie lussuriose, aveva favorito la fuga della donna senza consultarci e armandola, in modo tale che aveva ridotto in fin di vita un uomo (che avrebbe potuto essere uno di noi) per i suoi scopi libidinosi.

Ora soffriva il fio della sua scelleratezza, ma quanto potevamo fidarci di un compagno così?

Sparì nelle tenebre per seppellire il corpo della sua amata strega, mentre noi scendevamo nelle segrete, sperando di trovare i veri monaci.

Non ne trovammo che i cadaveri, chiusi in celle, parzialmente divoratisi l'uno con l'altro, in uno spettacolo orribile.

Avevamo debellato una cellula di una setta, ma per loro era tardi. E non avevamo ancora concluso il nostro dovere: era evidente che la setta aveva agganci molto altolocati, se la strega (affidataci dal Cardinale di Torino stesso) giungeva sin da Milano.

martedì 29 novembre 2011

Ne resterà soltanto UNO!!

“Dormono dormono sulla collina

Dormono dormono sulla collina”

Così io li immagino nella mia mente, un cimitero con lapidi senza nome ma solo con un numero.

Di quei numeri io conosco il nome e il volto. Quest’ultimo è semplice da ricordare il volto è sempre lo stesso … il MIO. Il nome cambia e con se porta una storia e la propria personalità.

A turno loro prendono vita in me e hanno il sopravvento.

Ho imparato a convivere con i miei cloni che di tanto in tanto aumentano dopo aver perso la vita.

Io sono il loro cimitero e ho il potere di destarli dal sonno e farli rivivere in me!

Otto il numero 69 è stato l’ultimo, ha portato con se la lussuria e l’abilità nella mira. Ho scoperto quanto è bello il vizio. Prima di lui altri sono arrivati il numero 15 l’inquisitore Angelo Demort uno spietato e retto esponente del pontificio, fu ucciso per vendetta da alcuni paesani che si erano visti bruciare casa e famiglia per un’accusa di scarsa partecipazione alla vita religiosa. Venne poi Jean Paul Bonton il numero 11, un nobile francese di Parigi immischiato in loschi intrighi politici e grande seduttore, la sua abilità a raggirare non è seconda a nessuno.

Il più strano di tutti era il numero 66 il predicatore jugoslavo Anton Sparlovic, fece vita da eremita nei Balcani, quando tornò a Belgrado iniziò a predicare la bellezza della non-morte. Sosteneva che il Signore aveva dato la possibilità alle famiglie di non soffrire per la perdita dei propri cari. Loro infatti tornavano in vita. Occorreva creare una società senza distinzione tra vivi e morti dove tutto era eterno. Portava con lui un morto senziente che considerava grande amico. Fu ucciso da un Atrox mentre cercava di parlarci insieme.

Chi peggio sopporto è il pauroso tedesco Ludvin Astenghen Karlauten il numero 17, quando sono stato sotto processo oppure vengo interrogato spesso lui prende il sopravvento su di me e inizio a tremare, piangere e avere paura. La sua morte fu forse la più atroce. Fu preda di un gruppo di belve morte in un piccolo borgo in Baviera che ne straziarono le carni.

L’ultimo numero che conto è il 77 Tonino Lacanonica il blasfemo napoletano, lo arrestarono per le donne ed il vino, non avevano leggi per punirlo non lo uccise la morte, ma due guardie bigotte gli strapparono l’anima a furia di botte.

Non so quanti siano in tutto. Non restano più tanti numeri liberi nel mio cimitero. Fortunatamente il mio numero non lo vedo e non vedo neanche il numero 1, penso che sia Heinrich, colui che mi ha incastrato a Torino e che la strega mi ha detto essere l’individuo da cui sono stati generati gli altri, me compreso.

Tra poco anche lui farà parte della mia collezione…

Sia fatta la sua volontà...

La strega mi ha baciato...
Ho una gran confusione in testa e non riesco ancora a spiegarmi cos'è successo...
La giovane donna mi ha chiesto di avvicinarmi alle sbarre del carro, l'ho fatto...
Mi ha chiesto se mi fidavo di lei, le ho risposto di no...
Ha allungato le mani tra le sbarre chiedendomi di stringergliele, l'ho fatto...
Signore, come potevo pensare che una giovane donna disarmata e rinchiusa in una gabbia, potesse essere un pericolo per me, per un uomo più alto di lei di almeno 40 centimetri e 50 chili più pesante.
Lei poi mi ha baciato, mi ha baciato la fronte come una madre col proprio figliuolo...
A quel punto mio Signore, nella mia testa sono esplose immagine di riti blasfemi, calici ricolmi di sangue e corpi straziati vittima di apostoli del male!
Al mio risveglio, su di me vegliavano Novella e Joaquin, che mi prestava i primi soccorsi credendomi ferito.
Novella e Otto ( o quel che è ) si sono poi lanciati all'inseguimento della "strega" che era scappata lasciandosi alle spalle il povero Maurizio (Baracco, ndr)con un profondo squarcio nell'addome... Quando mi alzai in piedi decisi che era più saggio per me, in quelle condizioni, e Joaquin rimanere con Maurizio, ma a quel punto sentii una voce nella mente che mi chiedeva aiuto, era lei... ma la cosa che mi stupii maggiormente è che anche Joaquin, secondo me, aveva sentito lo stesso richiamo. Ci dirigemmo ad una vicina grotta dove ci dividemmo...
E' qui Signore, che successe l'incredibile... la mia mente era evidentemente sotto l'effetto del bacio della strega, perchè quello che vidi in quell'antro fu un Athrox che discese da un trono d'ossa per venirmi incontro minaccioso, e feci l'unica cosa che un templare DEVE fare in queste occasioni, accesi LNM(libera nos a malo, ndr) che tuonò rabbioso e calando con violenza sul morto lo divise in due... Solo a quel punto ritrovai il mio senno, e vidi in terra ai miei piedi il prete ( finto lo scoprimmo dopo ) che ci accompagnava. A quel punto mi raggiunsero i miei compagni che mi videro finire di sezionare il cadavere, increduli su ciò che stava accadendo. Novella mi chiese immediatamente spiegazioni, alle quali non mi sottrassi, non per il suo ruolo da inquisitore ma perchè da cristiano quale sono, rifuggo la menzogna. Raccontai loro l'accaduto e della visione che mi aveva ottenebrato la mente, Novella e gli altri credettero alle mie parole senza vacillare mai nella fiducia in me riposta.
Sentii ancora il richiamo della donna mentre ci trovavamo nell'abazia, mi chiedeva aiuto... e ne aveva ben donde, stavano per praticare su di lei un rito sacrilego...
Ora la giovane donna è morta, nella mia testa non si sono più affacciate visioni e non sento voci, spero sia finita qui...
Ma il dubbio mi attanaglia mio Signore, non riesco a capire, la donna mi disse che il suo era un dono e questo dono era per onorarti, per essere uno strumento nelle tue mani, ma un santo tribunale l'aveva accusata di eresia. Che nel seno della tua santa chiesa si celino degli impostori?
Che un tuo strumento sia realmente caduto nelle lorde mani di blasfemi barbari?
Signore ti prego aiutami! Porgi su un tuo umile servo il tuo benevolo sguardo ed illumina il mio cammino!
Signore fai che io sia sempre uno strumento della fede, che la mia mano si levi sempre solo contro i nemici della Santa Chiesa e che il mio corpo sia scudo per i più deboli ed indifesi.
Signore fai che questo sia il mio cammino o che LNM cali su di me come fossi un tuo nemico.

sabato 19 novembre 2011

Nell'era buia dell'incertezza, io ti prego, O Signore, infondimi saggezza

“Guardatevi dai falsi profeti! Essi vengono a voi in veste di agnelli, ma dentro sono lupi rapaci!” Le sacre e savie parole del Signore risuonano potenti nel mio animo, e mi chiedo se anche nello stesso seno della Santa Madre Chiesa, come sostiene quella peccatrice... e so che è così. Del resto, è per questo motivo che esiste la Santa Inquisizione: per mondare la stessa Chiesa dalle devianze che possono annidarsi entro di essa, perché se Santo è il suo corpo, essa è pur sempre composta da uomini, e nessuno di essi, salvo il Papa, è infallibile.

Legittimi dubbi potevamo nutrire sulla rettitudine dello stesso Cardinale di Torino, che ci aspettava, con ira misurata, nell'ufficio di Pautasso, quando vi tornammo per annunciargli il risultato della nostra incursione notturna al Museo Egizio, effettuata senza autorizzazione ma grazie alla sua connivenza. In realtà, non avevamo scoperto molto: solo che uno di quattro grandi sacofagi era stato trafugato (gli altri quattro erano vuoti), e che probabilmente il Direttore del museo, Francesco Riganò, era in qualche modo colluso con i ladri, visto che non aveva denunciato la sparizione, sebbene fosse così evidente. In aggiunta a ciò, per un momento mi era parso di sentir cantare inni lontani, ma non ne avevo capito la provenienza.

Per fortuna il Cardinale non sapeva della nostra intrusione, altrimenti avrebbe avuto la possibilità di prendere provvedimenti legali. Tuttavia, nulla gli impediva di intralciare le nostre ricerche: scelse una strategia diversificata. Innanzi tutto, ci sventolò di fronte una lettera in cui Pautasso chiedeva a Frate Ardizzone un intervento, e si dichiarò molto irritato dall'intrusione: ci intimò di desistere da ogni ulteriore indagine, e “concesse” una vacanza a tempo indeterminato a Pautasso, con decorso dalla giornata stessa. Poi ci chiese di rimanere a disposizione, e anzi di tornare tre ore dopo: ci sarebbe stato un incarico per noi.

Pautasso era ovviamente turbato, e ci offrì casa sua come nuovo centro operativo: aveva alcuni uomini fidati che avrebbero potuto esplorare i sotterranei di Pietro Micca, che forse erano serviti, come già Fratello Celestino aveva intuito, a trasportare inosservati la pesante refurtiva del Museo.

Il Cardinale, però, uomo avveduto (ma con avvedutezza, temo, volta al male!) aveva previsto che non avremmo abbandonato la nostra ricerca, così, quando tornammo a Palazzo Città, trovammo una sgradita sorpresa: avevamo avuto l'incarico di condurre una strega al Monastero di Crea, dove sarebbe stata purificata prima del rogo. Con noi c'erano il cocchiere, Maurizio, e frate Claudio, un individuo arrogante. Pautasso era già stato sostituito da un servile inetto.

Celstino provò ad argomentare di essere legato ai Templari, ma il Cardinale aveva già ottenuto un nulla osta che vincolava il nostro nerboruto compagno alla missione.

Non ci restava che partire.

La strega era una donna bellissima, dotata di un carisma straordinario. Adolf rimase subito vittima del suo fascino, nel modo più sconcio, e ammetto che io stesso dovetti sforzarmi per non cadere ancora in tentazione (per fortuna ci riuscii: almeno un occhio è utile a conservarsi). Del resto, era forse eretica, ma quanto andava affermando non era privo di un certo interesse, e mi dava l'impressione di sapere qualcosa che sarebbe potuto tornarci utile nella nostra missione, così decisi di darle corda. Certo, alcune affermazioni erano difficili da credere, ma diede prova di non comune intuito, ed io speravo che sapesse qualcosa di Torino. Del resto, non ero nemmeno sicuro della sua colpevolezza: avevamo visto come alte gerarchie torinesi sembravano utilizzare il potere da Dio conferito non per la Gloria di Dio, ma per i loro intrighi di potere umani, troppo umani. E, forse, eliminavano così testimoni scomodi.

Ammetto di avere anche pensato di interrompere la missione, imprigionare in qualche modo Maurizio e Fra Claudio (il quale spinse il suo folle orgoglio al punto da affermare che la strega sarebbe bruciata all'inferno, come se non la stessimo portando alla purificazione apposta per salvarle l'anima, o se gli uomini potessero vedere i giudizi di Dio) e sfruttare quel paio di giorni in cui ci si sarebbe creduti lontani da Torino per tentare azioni risolutive. E forse l'avrei fatto, se i miei compagni di avventura fossero stati d'accordo.

Invece, il viaggio scorse così tranquillo che la maggiore avventura fu l'attraversamento di un ponte di legno scricchiolante.

A sera, ci accampammo in una zona boschiva. A me toccò il secondo turno di guardia, ma in realtà rimasi sveglio, senza darlo a vedere, anche durante il primo turno, in cui vigilava fra Claudio, del quale non mi fidavo. Era nervoso, ma non commise atti sospetti.

Nel mio turno, discussi un po' con la strega, che mi accusò di bigottismo e si disse amante di Dio, senza tuttavia dimostrare il dovuto rispetto alle Sacre Scritture. Adolf vegliò con Jaoquin, e fu un bene, perché già nei pochi minuti che mi ci vollero a prendere sonno lo vidi cercar di sedurre la giovane.

Mi addormentai, quasi tranquillo, ma fui risvegliato dalle urla di Joaquin.

Era quasi mattina, era il turno di Fratello Celestino: ebbene, egli giaceva riverso, di fronte al carro-prigione della strega, con la schiuma alla bocca.

La donna lo aveva baciato sulla guancia, e lui era caduto. Così ci disse Joaquin.

Era stato stregato.

mercoledì 16 novembre 2011

Nel buio del dubbio, la luce del Signore vi indicherà la vostra strada

Appena Gioacchino si fu congedato, Frate Ardizzone assegnò a me e a Celestino (il quale, certo ispirato dal Signore, accettò di buon grado di continuare a collaborare con la Santa Inquisizione, dimostrando che un buon cristiano è tale qualunque veste porti) un incarico che avrebbe potuto rivelarsi di massimo rilievo, forse per la stessa sopravvivenza della Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica.

I cavalli erano già sellati, e senza nemmeno concederci il tempo di un riposo eravamo già in sella verso Torino, dove ci aspettava Gianpaolo Pautasso, un capo excubitor che aveva pesanti sospetti su accadimenti inspiegabili che lì accadevano. Un uomo fidato. Sapevamo che non avremmo potuto fidarci di nessuno: era possibile che la corruzione fosse giunta fra le alte sfere locali, e financo nel seno della Chiesa. Del resto, ci era stato rivelato anche che avevamo un nemico potente, e – molto mi spiace ammetterlo - nelle stesse santissime fila dell'Inquisizione. Del resto, nessuna congrega umana è così santa da santificare chiunque ne faccia parte, e anzi spesso il Demonio si bea nel confondere le file dei fedeli. Il nome del nostro potente nemico era il Venerabile Fra Ruina.

Dopo tre giorni di cavalcata senza storia, arrivammo alle porte di Torino, ma decidemmo di passare la notte nella Rocca dei Cavalieri della Sindone, presso l'antico Palazzo di Stupinigi. Qui fummo accolti con pia disponibilità, anche perché, come ciascuno sa, tale Ordine è strettamente legato a quello dei Templari.

Il mattino dopo, ci siamo presentati da Pautasso che (a quanto si è scoperto) era stato commilitone di Fratello Celestino, e questo l'ha reso particolarmente ben disposto nei nostri confronti. Purtroppo, la questione era assai oscura: strani Morti si aggiravano per la città. Due neonati Ferox erano sbucati dal Po, aggredendo alcuni excubitores, che a fatica ne avevano avuto ragione e che, prima di eliminarli, avevano notato le loro schiene bruciate e un marchio a fuoco dietro l’orecchio, raffigurante un serpente. Ma noi stessi fummo testimoni del peggio: un altro mostro, una sorta di Scannatrice(in realtà non c’entra nulla, ndr), fu avvistato nella zona di piazza Vittorio proprio mentre noi ci trovavamo da Pautasso, a Palazzo Città (nella vicina piazza Castello). Accorremmo, la eliminammo soprattutto grazie al vigore di Fratello Celestino.

Purtroppo, sapevamo di chi fosse il corpo: era quello di Padre Rosario, inviato da Frate Ardizzone a Torino prima di noi, e scomparso da alcuni giorni.

Il corpo del poveretto era stato svuotato delle interiora, per la precisione di tutto l'intestino e di una parte delle altre. Inoltre, Fratello Celestino notò che da uno dei suoi due occhi cuciti usciva una pergamena, recante strane rune: era chiaro che non si trattava di un morto ordinario (come se non bastassero!), ma del frutto di un rito malvagio!

Subito pensai alla mummificazione, e pensai di chiedere un permesso per visitare il Museo Egizio, un tempo assai noto in quella città, immaginando di potervi trovare indizi. Ma, prima di poter prendere tale iniziativa, mi attendeva un'altra sorpresa.

Il mattino dopo, infatti, da Pautasso io e Fratello Celestino trovammo una situazione intricata: con nostro grande stupore, vedemmo Gioacchino e il defunto Vent-Otto (che però era vivo e vegeto) intenti a sporgere denuncia per il furto di un diario, e un contadino che asseriva di averli visti (o meglio, di aver visto un uomo uguale a Vent-Otto e un altro che aveva lo stesso bastone di Gioacchino) portare Padre Rosario in campagna, su un carro nero, e trafiggerlo al cuore col bastone animato, mentre 28 lo teneva, per poi ricaricarlo sul carro.

Certo, la dinamica pareva strana, come subito notò Celestino, ma ancor più strano era che il presunto Vent-Otto che avevamo davanti, non era Vent-Otto! Asseriva invece di chiamarsi Adolf Stettermaier; sosteneva di conoscerci sulla base di un sogno, e di aver giurato di difendere Gioacchino (infatti appena giunti a Torino erano stati anestetizzati durante un'orgia, riportati in albergo e derubati, a quanto pareva dal racconto che ci fecero dei giorni precedenti).

Non mi fidavo: gli aprii la camicia e...sul petto non c'era più il numero 69.

Invece, era tatuato un numero 9.

Quanti altri uomini come lui, frutto (a quanto risultava) di un esperimento di clonazione nazista, c'erano in giro? Troppi?

E, forse, volendo fidarci di Gioacchino, uno di costoro aveva ucciso, la notte prima, e praticato il rito per risvegliare in quel modo l'inviato di Frate Ardizzone? Oppure era stato proprio questo sedicente Adolf a carpire la fiducia di Gioacchino, collaborare nell'addormentarlo, e poi usare questo alibi?

La dinamica particolare lasciava sospettare il tentativo di incastrare il nostro amico e la sua nuova guardia, ma davvero si può prestare fede a chi si finge frate, lavora per la Chiesa, ma si dedica alle orge più sfrenate?

E, tra l'altro, come scoprimmo in quella circostanza, è il fiero nipote di Friedric Nietzche, il quale certo non è il più pio fra i filosofi?

Intrigo a Torino

Passati pochi giorni dalla disavventura con la setta di Belzebù, i miei compagni ed io ci recammo al cospetto di Frate Ardizzone. Egli mi consegnò una busta, che conteneva una missiva di Federico, il mio contatto a Torino. Poco tempo addietro avevo ricevuto un'altra sua lettera, in cui mi aggiornava circa i risultati di alcune sue ricerche: aveva scoperto che, tra i rami del mio albero genealogico, trovava posto nientemeno che il grande filosofo tedesco Friedrich Nietzsche.

Ora mi scriveva nuovamente, chiedendo di recarmi urgentemente a Torino, questa volta non sotto mentite spoglie, ma in veste di me stesso, Sebastian Joaquin, erede di Nietzsche. Sfruttando la popolarità del mio prozio, sarei entrato in contatto con organizzazioni massoniche dalle spiccate tendenze anticlericali, vicine, a loro stesso dire, all'autore dell'Anticristo. Il Sant'Uffizio aveva ragione di credere che i “fatti strani” che stavano accadendo a Torino, di cui nella lettera non si faceva menzione più approfondita, erano in qualche modo collegati a queste organizzazioni. Il mio compito, in quanto agente del Sant'Uffizio, sarebbe stato indagare su questi fatti strani e scoprire chi o che cosa vi stava dietro, anticipandone le mosse, per quanto possibile.

Letta la missiva, mi accomiatai rapidamente dai miei compagni, come presentendo che presto le nostre vie si sarebbero di nuovo incrociate. Mi recai all'hotel Arno, come indicato da Federico, e quando aprii la porta della stanza assegnatami, numero 69, mi ritrovai davanti a una visione triplicemente scioccante: 1) il mio amico Otto, il cui corpo avevo visto prima perforato da una pallottola, quindi fatto a pezzi, si sollazzava ora con una giovane, nella vasca della mia stanza; 2) quando mi vide si alzò in piedi, non curandosi di coprire ciò che, ad ogni modo, sarebbe stato impossibile coprire col solo ausilio delle mani; 3) si rivolse a me come parlando a un frate – mentre il vero Otto da tempo aveva capito che non ero che un falso – e mostrando inoltre un rispetto nell'eloquio e una devozione, che mai avevo udito proferire da quella bocca; infine mi accorsi che il numero che aveva tatuato sul petto non era il 69, ma il 9. Era questa la “sorpresa” a cui si riferiva Federico nella lettera, in cui accennava anche che colui che avevo di fronte era il risultato di esperimenti genetici nazisti!

Era evidente che chi avevo di fronte non era Otto, ma una sua copia, con una personalità apparentemente diversa da quella del mio amico. Mi disse di chiamarsi Adolf Stettermajer e che si ricordava di me, padre Joaquin, anche se i suoi ricordi erano molto confusi, come in un sogno. Dopo che gli ebbi rivelato che non ero un prete – infatti, benché non potessi fidarmi ciecamente di lui, non c'era bisogno di mentirgli, non dovendo più nascondere la mia identità – ci preparammo per il costosissimo viaggio in treno che Federico aveva provveduto a prenotare per noi.

Il viaggio procedette senza intoppi. Arrivati alla stazione di Porta Nuova, fummo subito avvicinati da un uomo, che ci invitava, a nome dell'associazione che rappresentava, presso corso della Redenzione(ex Stati Uniti), per quella sera stessa. Una carrozza nera ci scortò fino alla camera d'albergo già prenotata e pagata, come mi era stato scritto da Federico: scaricati i bagagli, la carrozza ci portò all'appuntamento. Una volta arrivati, io e colui che presentai come la mia guardia del corpo, fummo accolti calorosamente. Mi presentarono diverse personalità dell'alta società torinese e conversai amabilmente con alcuni di loro per qualche tempo, raccontando o inventando aneddoti sul mio prozio. Tra gli altri, ebbi il piacere di conoscere la contessa Elisa Malan: con lei e altre signorine trascorsi la notte e anche il vecchio Adolf ebbe il suo bel da fare.

Ci riportarono all'albergo spossati, mentre già albeggiava. Io salii in camera, mentre Adolf fu scaricato semi-svenuto fuori dall'albergo. Quando la mattina dopo mi ripresi, notai che, durante la nostra assenza, qualcuno doveva aver trafugato il diario di Nietzsche, che Federico mi aveva affidato e che io avrei dovuto custodire gelosamente. Da quanto avevo avuto modo di vedere, conteneva rune e simboli a me sconosciuti; non era difficile immaginare a chi sarebbe potuto interessare.

Ci recammo dunque alla polizia per sporgere denuncia del furto. Lì avemmo due sorprese, la prima molto piacevole, la seconda decisamente spiacevole. Infatti, mentre stavamo denunciando l'accaduto, con nostro sommo stupore entrarono Celestino e Fra Novella! Con loro c'era un agente grosso quasi quanto Celestino e un contadino, che appena ci vide ci puntò il dito contro, gracchiando: “Sono loro i colpevoli, credetemi! Hanno ucciso loro quel prete!”.

Tutto ciò era accaduto in così poco tempo e molte domande ora ci attanagliavano. Chi aveva rubato il diario? E perché un volgare villico ci accusava di un misfatto che non avevamo commesso? C'era una qualche connessione tra questi fatti? A queste e altre domande avremmo presto dovuto trovare una risposta.

lunedì 14 novembre 2011

Le vie del Signore sono finite...

Non ci fu concesso nemmeno il tempo di rimetterci: appena fummo in grado di ripartire, ci rimettemmo in viaggio per Firenze, dove ci attendeva Frate Ardizzone, il mio Inquisitor. E ce n'era ben donde: sempre la Santa Fede deve essere sostenuta, sempre le eresie crescono e si abbarbicano come edera alle piante, rischiando di soffocare il dolce fico che porta i frutti della Redenzione e della Salvezza.

La nostra missione non era stata un successo completo, ma almeno il Rito non si era compiuto e la Setta demoniaca si era disgregata, perciò rientrammo in Firenze non lieti, ma nemmeno troppo delusi del nostro operato. Del resto, gli Adepti di Satana erano sospettosi: nella villa trovammo persino i nostri ritratti.

A Firenze, del resto, ci attendeva l'Orrore. Sulla strada del ritorno, passammo davanti alla porta dove aveva vissuto il Maestro Laffi: la porta era stata sfondata, sul legno c'era una grossa croce. Il luogo era presidiato dagli excubitores, ma potemmo entrare. All'interno, la scena era tale da generare sbigottimento in chiunque non fosse rotto alle più crude esperienze e/o sostenuto dalla Fede come noi: c'era sangue ovunque, la cameriera era stata sgozzata, e il maestro Laffi era stato crocefisso, utilizzando costole umane in luogo di Chiodi!

Un eretico, un miscredente crocefisso!! Chi, quale creatura, quale essere blasfemo aveva potuto osare tanto? Una simile blasfemia, una simile mancanza di rispetto al Nostro Salvatore!

Fremevo di rabbia, ma la Bestia era già stata punita: ci erano voluti gli sforzi congiunti di numerosi excubitores, alcuni dei quali ci avevano rimesso la vita, ma era stata sopraffatta e uccisa. “Uccisa” non è il termine più proprio: la creatura non era un Morto, ma non era nemmeno un vivo. Piuttosto, la Scannatrice (così la chiamavano) sembrava il frutto di riti blasfemi. E, non a caso, pareva che fosse stata portata in zona da un carro funebre – presenza quanto mai insolita, dal Risveglio!

Quando fummo al cospetto di Frate Ardizzone, c'erano due sorprese. La prima mi riguardava direttamente: nonostante il nostro non brillante successo, il Venerabile Maestro aveva deciso di insignirmi dell'onore e della responsabilità della carica di Inquisitor.

Caddi in ginocchio, come schiacciato dal peso, mormorando “Domine, non sum dignus”, pensando al mio recente peccato, il cui segno per sempre rimarrà sul mio volto. Ma, in fondo, Egli può perdonare anche i peggiori peccatori, e mi era offerta una via di redenzione. Sì, io sarei stato una Spada della Chiesa e uno dei suoi Scudi, per difenderla dai troppi nemici.

La seconda novità, invece, ci riguardava tutti: Frate Ardizzone consegnò a Gioacchino una missiva a lui indirizzata, ed egli si accomiatò.

Gran Brace era morto. Vent-Otto era morto. Gioacchino ci lasciava. Rimanevamo solo io e Fratello Celestino, uniti nella difesa della Vera Fede.

Sapevo che Iddio ci avrebbe dato la forza di continuare la lotta valorosamente. Eppure, dover abbandonare, forse per sempre i compagni con cui, a parte i contrasti, avevo combattuto il Demonio mi lasciava un poco sgomento.

domenica 13 novembre 2011

UN VERO CACCIATORE NON MUORE MAI! LA SUA LEGGENDA SEMPRE VIVRA’

Mi sveglio sudato, eccitato e nello stesso tempo impaurito.

Il mio sogno è così reale: una donna si contorce su di me, anzi su una copia di me. Attorno 3 persone, che quel mio io riconosce come amici. Tutti abbiamo maschere ma i loro volti sono stampati nella mia mente insieme ai loro nomi. Un uomo irrompe nella stanza anche lui mascherato, mi rivolge una domanda. Forse quel mio io era il capo??? “W i diavoli” lui dice e una pallottola lo colpisce in pieno volto.

Otto Von Rokken era l’uomo che ho sognato, il suo ultimo soffio di vita lo sento scorrere in me .. Adolf Stettermajer.

Ora ho un incarico e incontrerò padre Joaquin. Cercherò di contenere la mia furia con la preghiera. Sono felice di proteggere un prete!

Una parola è troppa, due sono poche (fatti i caxxi tuoi che campi 100 anni)

Qual è il giusto prezzo per una parola di troppo, sussurata a una gentile signora, durante la riunione orgiastica di una setta? Ma è ovvio, una pallottola allo stomaco!

Quando il proiettile mi colpì, immediatamente crollai a terra.

Mentre ero riverso in stato di semi-incoscienza, la vita iniziò a passarmi davanti agli occhi: rividi la casa della mia infanzia, i miei genitori e mia sorella... Subito mi riebbi: non potevo certo permettermi di morire, non prima di aver ritrovato e liberato mia sorella!

Tutto questo e altro mi balenò in testa in pochi istanti. Alzai lo sguardo, giusto in tempo per notare che Belzebù puntava la pistola verso Celestino. Prima che fosse troppo tardi anche per il templare, scagliai il mio pugnale contro Belzebù, ma le forze mi stavano abbandonando e mancai il bersaglio. Per tutta risposta, il cultista si voltò verso di me e mi somministrò un'altra pallottola, che miracolosamente non colpì alcun punto vitale. Intanto, sfruttando il diversivo che avevo creato, Celestino guadagnava l'uscita di gran carriera, mentre Balam, l'affiliato che poco prima si era mostrato poco convinto riguardo al rito, aprì il fuoco contro Belzebù, freddandolo all'istante.

Di quel che successe dopo, ho ricordi confusi: il “regicidio” fece esplodere la faida interna alla setta e iniziarono a piovere proiettili tra gli affiliati; in quell'inferno, riuscii a trascinarmi fuori dalla stanza, senza che nessuno potesse badare a me. Presi l'uscita sul retro e trovai riparo dietro a una siepe, dove mi prestai le prime cure, cercando a tutti i costi di rimanere cosciente... Quando cessò ogni rumore dall'interno della casa, attesi ancora qualche minuto e poi mi incamminai verso il più vicino ospedale, che avrei raggiunto solo dopo alcune ore di sofferenza e uno sforzo di volontà immane.

"Ho visto la Morte in faccia..."

venerdì 4 novembre 2011

Vent-Otto è il nostro capo e si chiama Astarotte...

Mi sveglio di soprassalto. Sudato.

Sono ferito. Bendato. Dolorante. Quindi, vivo.

Vivo, quando per un momento avevo temuto di essermi sì svegliato, ma come Morto.

Ignorando le ferite e i terribili dolori che mi causa ogni movimento, mi getto in ginocchio ed innalzo al Signore la più fervente delle mie preghiere, perché ancora ha voluto concedermi tempo per portare avanti la Sua missione. Se mi avesse chiamato a Sé non avrei avuto motivo di dolermi, ma non prima di aver debellato quell'oscuro e blasfemo male che serpeggiava in Terra, nelle sette degli adoratori del Demonio.

Perdona, Signore, questa mia ambizione! So di essere solo un insignificante strumento nelle Tue mani, eppure, come ciascuno dovrebbe, sento profondo il dovere di estirpare il male con tutte le forze che Tu mi concedi.

E forse per questo hai voluto salvarmi ancora una volta, nonostante i miei peccati.

Dopo la prima notte nella Rocca, avevamo avuto un paio di giorni per prepararci alla notte del rito: decidemmo di prendervi parti sotto le mentite spoglie degli affiliati di Firenze, che avevamo sterminato, a quanto di risultava, e dei cui segni di riconoscimento eravamo in possesso. Eravamo convinti che questo fosse il solo modo per arrivare al luogo del rito, sabotarlo e allo stesso tempo individuare gli adepti della setta demoniaca, né ci fidammo delle autorità, temendo collusioni con la setta che aveva dimostrato di essere potente e ramificata.

Procuratici abiti borghesi, ci presentammo alla piazza della Santa Romana Chiesa, il luogo convenuto per incontrare gli adepti degli altri gironi. Qui dovemmo attendere per ore: dapprima fummo avvicinati da un individuo, forse inviato per depistarci, ma solo quando ci si presentò una bimba, secondo quanto scritto nelle lettere da noi intercettate, la seguimmo, la seguimmo sino ad un'ampia magione di periferia, nella quale fummo introdotti da un poco ospitale individuo armato di una doppietta, alla vista della quale allibii: un brivido presago mi percorse la schiena, ma volli ignorarlo. Il tizio ci accompagnò ad uno spogliatoio, ma prima di lasciarci accedere ci chiese le armi, nonostante avessimo fatto del nostro meglio per occultarle. Solo la Colt di Fratello Celestino rimase in nostro possesso.

All'interno, c'erano gli abiti di coloro che ci avevano preceduti: era evidente che alcuni si erano completamente spogliati, altri si erano limitati a levarsi la giacca, altri ancora si erano tolti solo una parte dei vestiti. Condotti da religioso pudore, noi veri o falsi uomini di Chiesa rimanemmo vestiti, mentre Vent-Otto si levò calzoni e mutande, ponendo in evidenza la sua oscena virtù.

Sospirai prima di indossare la mia maschera, quella dell'oscuro Baal, ma sta scritto che gli uomini saranno giudicati dai loro frutti, ed io compievo l'apparente male per un fine buono. Chiedendo perdono a Dio, mi celai dietro quel blasfemo idolo, e lo stesso fecero i miei compagni. Avevamo assegnato, forse sconsideratamente, il ruolo di Astarotte, Demone Sommo del nostro girone a Vent-Otto, ritenendo che fra tutti fosse quello con maggiore familiarità con il Demonio.

Io, invece, presi la Colt.

Appena entrati, però, colui che avrebbe dovuto guidarci fu subito distratto: una donna bellissima, nonostante la maschera che portava sul volto, gli si avvicinò, e subito cominciarono ad intrattenersi sconciamente, con la stessa mancanza di vergogna che dimostrano le bestie. Signore! Ho scritto “donna bellissima”! Forse il mio occhio cadde su di lei in modo impuro? Forse fu questo il peccato che punisti poi con quello che sarebbe accaduto in seguito?

In breve, la situazione precipitò. Cercammo di evitare le conversazioni, per non tradirci, ma spesso fummo in parte costretti a parlare. Un uomo ci avvicinò per testare la nostra fiducia nell'imminente rito, e affermammo di riporvi grandi speranze (eppure, forse, quell'uomo era un oppositore interno alla setta, che avrebbe potuto essere un alleato).

Fu Fratello Gioacchino, però, a commettere l'errore decisivo allorché, conversando con una donna che pure già aveva provato a verificare la nostra identità fingendo di confonderci con la setta di Bologna, le disse che tale comportamento “non era da lei”, quando evidentemente non si erano mai visti.

Da questo momento, la situazione precipitò rapidamente. La donna sparì, poco dopo rientrò nella stanza accompagnata da un uomo il cui volto era coperto dalla maschera di Belzebù: era il sacerdote più elevato. Entrambi avevano in mano pistole, e le puntavano contro Fratello Gioacchino. Anche l'uomo con la doppietta era entrato da un'entrata posteriore.

Colui che si faceva chiamare Belzebù interpellò Vent-Otto, che ancora non aveva concluso la sua sconcia attività, chiedendogli quali fossero i sistemi di selezione degli affiliati della setta di Firenze. Egli rispose sconsideratamente: “Fra i più devoti adoratori del Demonio!”.

Un colpo diretto alla sua fronte, precisissimo, pose immediatamente fine alle sue pene (ed ai suoi peccaminosi godimenti) terreni. Fratello Gioacchino fu pure immediatamente colto da un secondo proiettile, in pieno petto, e si accasciò esanime.

Io e Fratello Celestino rimanemmo un momento sconcertati, ma subito comprendemmo di trovarci in una situazione quasi disperata. Io mi gettai fuori da una vicina finestra, ma commisi l'errore di voltarmi invece di correre direttamente ad avvertire le autorità: lo sparo della doppietta mi investì, mi accasciai in terra, convinto di morire, con in bocca una preghiera estrema ed un ringraziamento per quanto mi era stato concesso. Vidi confusamente Fratello Celestino fuggire, lo benedissi, caddi in quella che credevo essere la morte.

Mi sbagliavo.

Fratello Celestino si era reso conto che per me non era ancora finita, mi sollevò a forza, io mi ripresi, camminando come in trance, sostenuto dalla Fede molto più che dalle mie misere forze mortali, quasi senza rendermene conto riuscii ad allontanarmi. Ci imbattemmo (come mi fu raccontato: io non rammento nulla di queste ore) in un gruppo di excubitores di ronda, spiegammo la situazione. Io persi di nuovo i sensi, e fui condotto nello Spedale nel quale ora mi trovo. Fratello Celestino, invece, sano, tornò alla magione con rinforzi, ma non trovò nessuno di vivo: c'erano solo i cadaveri, ridotti in pezzi inoffensivi, di Vent-Otto, l'uomo che portava la maschera di Belzebù e di quello armato di doppietta. Nessuna traccia di Fratello Gioacchino: che si fosse salvato anche lui?

Probabilmente, nonostante tutto, il rito era fallito, non grazie a noi, ma ad un regolamento di conti interno alla setta.

Il Signore ci aveva usati per distrarre il capo dei blasfemi da ciò che si preparava per lui, in modo da far fallire il suo proposito blasfemo, ma allo stesso tempo non aveva voluto che noi, peccatori e indegni, fossimo innalzati nella gloria.

Il più inveterato dei peccatori aveva posto fine alla sua esistenza, ma evidentemente anche nei nostri cuori albergava il peccato. Forse non avevo io stesso osservato con occhio non colmo di disprezzo quella donna ignuda? Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa!

Forse non ci eravamo affidati proprio a Vent-Otto? Quale follia ci aveva ottenebrato la mente?

Quanto ci era accaduto era soltanto un avvertimento inviatoci dal Signore: saremmo potuti morire tutti nell'impresa, e, quel che è peggio, fallire il nostro scopo.

Sia lode alla Sua infinita saggezza!

Ma sta scritto che “Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo”.

Ecco, dunque, io ora, qui, me lo cavo, perché mi sia di monito per il peccato in cui sono caduto, e ciò mi dissuada dal farlo ancora in futuro! Tutto a maggior Gloria del Signore!